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YELL tour 21-10-2023: LUGAGNANO DI SONA (VR) - Club Il Giardino.

?“Dove eravamo rimasti”?
Questo è il quesito che aleggia nella foltissima schiera di fans, appena i Cheap Wine prendono posto sul palco. L’acchito di Dance over troubles aiuta a dare un primo abbozzo di risposta, riportando immediatamente le lancette indietro ad anni di sudate t-shirt e di cori ad alto volume.

Il combo pesarese, tornato da poco alla composizione originale di quartetto, è ben consapevole che, in questa data, audience e luogo potrebbero segnare una svolta, in un periodo pieno di incertezze e dubbi. Soprattutto, segnato da sempre minori possibilità di proporre live la propria musica.

“Questa sera faremo un viaggio insieme. Lasciatevi trasportare dalle canzoni…”
Mai premessa fu così prodiga di buoni auspici!

La prima parte vede riletture ad alto tasso emozionale da Dreams (Full of glow e Naked) ed una prima messe di canzoni tratte dall’ultimo, incisivo, roccato Yell. Se Sun rays like magic e No longer slave scorrono fluide e potenti è Your fool’s gold a certificare che la capacità di scrittura di Marco Diamantini ha prodotto l’ennesima perla da aggiungere alla collana dei loro highpoints. Epica ballata rock dal crescendo mozzafiato, grazie alla bravura di un Michele Diamantini che, da 25 anni, continua a mietere unanimi, strameritati consensi di chitarrista dal talento infinito. Bravura che risplende nell’esecuzione del brano che trasforma un set già di spessore in qualcosa, soprattutto per i/le Wineheads di lungo corso, di assolutamente memorabile.

“Intravedo volti conosciuti di persone che hanno fatto molti kilometri per essere qui stasera. Questa canzone non la suonavamo da anni, molti anni. La dedichiamo a chi è arrivato dalle Valli Lombarde, questa canzone è…”City lights“. I puntini di sospensione non sono un capriccio grammaticale di chi scrive bensì rappresentano il microscopico lasso di tempo in cui lo stesso ha sperato che, dall’urna dei ricordi più belli degli ultimi cinque lustri, uscissero proprio QUELLE due parole. Un’emozione più che palpabile, assolutamente VISIBILE nelle voci e nei volti di varesotti, comaschi, lecchesi, bresciani, altomilanesi. Rappresentanti delle centinaia di fans che, nelle tante trasferte dei Cheap Wine, riempivano le pagane chiese musicali di Cantù, Pavia e Legnano, ora sconsacrate dall’epidemia e dalla scia di incuria culturale che ha prodotto.

Memorabile potrebbe risultare eccessivo, come aggettivo, rispetto alla svolta presa ora dal set? La risposta è nella seconda parte della setlist. Innanzitutto, la grande sorpresa di ascoltare The fairy has your wings non più in chiusura, in pompose versioni di lungo minutaggio, ma in un’eccellente resa di suoni scarnificati, sottolineati da un uso ficcante dell’armonica. L’epica sonora muta in una ballata che, se possibile, esalta ancor di più il significato del brano e la memoria di chi è stato dedicato. Cambiamenti che Marco Diamantini spiega subito dopo, introducendo una pacata versione di Lay down. Il paragone dei diversi abiti sonori con cui rivestire una stessa canzone visti come dei flussi molto simili a quelli del mare.

Marco lascia spazio a brevi ricordi personali, tasselli di vita trasposti nei suoi testi. Così, la cupa, inquieta Muddy hopes paga tributo ad anni poco inclini alla positività, tradotti in un disco intriso di rabbia come Beggar town. Il concerto è definitivamente decollato. I primi ad accorgersene sono proprio i membri della band. Finalmente sorridenti, complici, il gusto della battuta “ad hoc”. Una “new side” dei Cheap Wine, plasticamente rappresentata dal “linguaggio del corpo” del loro frontman, nei concerti da me visti, a cavallo dell’era Covid, spesso appoggiato all’asta del microfono con uno sguardo inquietante, diretto verso un altrove da lui solo conosciuto. E ora, al contrario, immagine di ritrovata serenità, con un sorriso ben più che abbozzato mentre avanza verso il bordo del palco quasi ricercando il contatto fisico con i fan. Facendo loro arrivare, a mio parere, un doppio messaggio. Da una parte, mostrare visivamente una ritrovata voglia di suonare insieme, tradotta pure dall’apprezzato ritorno in scaletta di tre cover al fulmicotone (la pettyana Face in the crowd, una tesa Sweet Jane ed una clamorosa One more cup of coffee, tirata quasi allo sfinimento fisico di un mastodontico Alan Giannini ai tamburi e di un metronomo Andrea Giaro al basso). Dall’altro, ribadire con orgoglio la Storia della band, longeva, nonostante tutte le insidie e le difficoltà trovate sul cammino, e autrice di pezzi che, per molte persone, sono la traduzione in parole e note di importanti spezzoni delle loro vite.

Logica conseguenza è un finale affidato a due pezzi che, seppur tra loro musicalmente eterogenei, trovano, sulla base delle premesse illustrate, unitaria sintesi. Dapprima, Mary riporta l’udito a Ruby shade e la mente all’inizio del secolo (fa strano scriverlo ma è così). I concerti con pochi ma esaltati spettatori, il cerchio che si allarga, il passaparola, la gente fuori dai locali. Marco canta con voce sicura e Michele dipinge assoli, con quel l mix tra l’onirico ed il “carnale”, da sempre suo trademark.

Si chiude (forse…) con una detonante, poderosa Freak show, inno dei Cheap Wine più limitrofi al punk, alla cui resa perfetta manca solo l’impossibilità fisica di lanciare vie le sedie, unendo il pubblico ormai esaltato, in un panteistico tutt’uno con la band. Il Giardino è stato più volte definito, da Marco Diamantini, il “club dei miei sogni”. La notevole competenza alla consolle audio e al mixer luci ha spiegato assai bene una parte di questa sua affermazione. L’altra risiede nella passione con cui lo staff del locale cerca di avvicinarsi a quella del suo gestore. Quel Giamprimo Zorzan, assente in non desiderata contumacia per motivi personali, a cui è stato sicuramente dedicato il gran finale di Leave me a drain, trascinante nel suo incedere roccheggiante e con quel mantra da ripetere in coro. Perché, per molte anime in perenne travaglio, ancora non esiste un posto per nascondersi.

Due ore abbondanti di energia, passione, resilienza, condivisione e grande Musica. Ricordando che le band e gli artisti sul suolo italico che resistono, proponendo materiale originale, sono sempre di meno come i locali in cui possono suonare. Nell’entusiasmo finale, un improvvisato portavoce delle “valli lombarde” ringrazia sentitamente la band per la setlist “spezzacuori” mentre qualcuno, sotto una pioggia ormai notturna, sottile ed insistente, è sicuro di aver visto passare veloce un ragazzo con un maiale al guinzaglio…

Lunga vita ai Cheap Wine!

[ OFF TOPIC - Fabio Baietti ]







FACES tour 26-03-2022: MILANO - Spazio Teatro 89.

Prendete due anni e condensateli in due ore: solo chi ha cuore e polso fermo riesce nell'intento. Ma i Cheap Wine hanno cuori immensi, che battono a ritmo di rock da oltre venticinque anni, e un polso solidissimo, che sa tenere dritta la barra della loro navigazione attraverso mari spesso tempestosi.

Quindi, niente di strano se, nel sempre ottimo Spazio Teatro 89 a Milano, la band pesarese regala a piene mani emozioni forti, dipingendo con tinte ricchissime il racconto due anni di attese, speranze, difficoltà e soddisfazioni.

Il loro Faces Tour fa tappa in uno spazio ideale per ascoltare musica: un teatro dall'acustica ottima, dallo staff competente e cortese, e un pubblico che viene da ovunque solo per ascoltare il concerto. Ma sono i cinque musicisti a creare la migliore atmosfera: nonostante un brutto raffreddore limiti la potenza vocale del sensibile Marco Diamantini, anche valido chitarrista, l'emozione e l'energia sono tanto grandi da superare anche questa difficoltà, e da far sì che le due ore scorrano intense e ricche di emozioni.

La chitarra di Michele Diamantini incendia le lunghe code strumentali, tipiche della musicalità della band, per la quale vale più che mai l'opinione diffusa che i gruppi davvero bravi devono essere ascoltati live; brilla in Naked Kings, e, in Murderer Song, il suo assolo rivaleggia e si sposa perfettamente con quello delle poliedriche tastiere di Alessio Raffaelli, a cui viene dato ampio spazio in molti brani, dallo psichedelico moog di Head in the clouds al tocco alla Nyman in Behind the bars, fino alla nostalgica fisarmonica in I like your smell e a qualche opportuna citazione dal Tom Waits di Innocent when you dream sul finale di Utrillo's Wine.

Il cuore della debordante batteria di Alan Giannini e del basso - metronomo di Andrea Giaro accrescono la temperatura rock del set, e danno prova del fatto che sia possibile coniugare competenza, energia ed espressività, oltre che un'evidente gioia di suonare, che tracima dal palco alla sala, gremita di autentici e fedeli appassionati.

I Cheap Wine sanno suonare, sanno tenere il palco, sanno raccontare le loro storie, sanno divertirsi e divertire; un set come il loro testimonia che esistono ancora in Italia gruppi che conoscono a memoria l'enciclopedia del rock e la rielaborano con rispetto e passione.

Per questo vanno sostenuti nei loro progetti: è infatti in corso un 
crowdfunding per la produzione del loro prossimo album, Yell: un urlo che speriamo di felicità, e che ci auguriamo duri per almeno altri venticinque anni.

[ MESCALINA - Laura Bianchi ]









FACES tour 26-03-2022: MILANO - Spazio Teatro 89.

Se c’è un gruppo che più di altri ha sofferto la pandemia, sono proprio i Cheap Wine. La band pesarese costituisce da ormai 25 anni una strana anomalia nel nostro panorama musicale: non hanno un’etichetta, non hanno un ufficio stampa, non hanno un’agenzia di Booking (ne avevano presa una poco prima delle varie chiusure, non so poi come sia finita), fanno tutto loro. Da 25 anni registrano dischi e soprattutto suonano dal vivo, centinaia e centinaia di concerti da un capo all’altro dell’Italia, con una fan base affezionata in ogni regione. Il gruppo dei fratelli Diamantini testimonia una verità che nell’ultimo periodo pare essersi persa, almeno tra gli artisti del nostro paese: vuoi diventare qualcuno? Devi stare sul palco e riuscire a farlo bene.

Loro (l’ho detto più volte, visto che li racconto da parecchio tempo ormai) pagano probabilmente lo scotto di non essere nati in uno dei tanti paesi dove vivere di musica non è considerato un sogno da bambini; allo stesso tempo, muoversi tra Roots, psichedelia settantiana e Paisely Underground in uno scenario come quello italiano, non è di per sé garanzia di successo.

Faces, l’undicesimo disco in studio, è uscito a fine 2019. Da lì in avanti c’è stato il solito tour, che non è purtroppo arrivato dalle mie parti per problemi logistici. Il Covid, qualche mese dopo, ha fatto il resto. Il periodo di inattività forzata è stato decisamente provante per un gruppo che di fatto vive di concerti. L’estate del 2020 li ha visti suonare per qualche serata sporadica, poi la pausa è ripresa.

Quella di questa sera è dunque la prima data milanese dopo due anni, la prima occasione in assoluto per suonare le canzoni di Faces, oltre che un’occasione privilegiata per riabbracciare un pubblico che da queste parti è sempre stato particolarmente rumoroso e affezionato.

La cornice prescelta è una garanzia: lo Spazio Teatro 89, un luogo accogliente e dotato di un’acustica eccezionale, sede negli anni, oltre a tanti concerti dei Cheap Wine, anche di tantissime proposte legate al rock americano. In un periodo in cui i posti per suonare sono sempre meno, una venue del genere sarebbe da tenere maggiormente in considerazione.

Si parte puntuali alle 21.30, dopo che nei minuti precedenti ci avevano allietato le note dello splendido (e non troppo considerato, direi) Bluenote Café di Neil Young. I cinque salgono sul palco in maniera discreta, proprio mentre si spingono le luci. L’attacco è affidato a quella “Made to Fly” che apriva Faces, un brano insieme energico e cupo (come cupo è gran parte di quel disco), che rimane sempre in tensione, senza esplodere mai. A ruota, dopo i saluti di rito, “Naked” e “Full of Glow”, due dei brani più diretti del precedente Dreams.

Band come al solito rodata, i mesi di inattività non sembrano aver lasciato segni, le prime battute li evidenziano come la macchina da live che sono sempre stati. Ogni loro show vive normalmente dell’alternanza tra episodi compatti e più propriamente rock ed altri dove ad essere in primo piano sono le componenti più intimiste e psichedeliche, dove le lunghe code strumentali evidenziano la voglia che questo gruppo ha sempre avuto nel lasciarsi andare all’improvvisazione, in un dialogo incessante tra il chitarrista Michele Diamantini e il tastierista Alessio Raffaelli.

È un lato che negli ultimi anni si è andato un po’ stemperando (ricordo concerti in passato in cui la durata media di ogni brano era più consistente) ma questa sera sembra che le ballate siano in prevalenza: se si eccettuano le battute iniziali, una roboante e sempre amatissima “Reckless” e una convincente “The Great Puppet Show” (forse l’unico brano di Faces ad essere aperto e solare) il resto del concerto è stato caratterizzato da quiete e contemplazione, come se dopo tutta questa stasi il ritorno al palco dovesse essere vissuto come un qualcosa di solenne, da assaporare a piccoli sorsi.

Bellezza a profusione con la dolcissima “I Like your Smell”, con la fisarmonica di Alessio in primo piano, tra le  canzoni più rappresentative di quel “Crime Stories” che, per quanto mi riguarda, è ancora oggi uno dei loro lavori migliori. Dallo stesso album è arrivata anche “Behind the Bars”, altra superba ballata suonata con una coda epica di pianoforte e chitarra, in una sorta di crescendo a la “Jungleland” che è una delle cose belle che succedono sempre, quando il gruppo è ispirato e lanciato a briglia sciolta.

Ma è anche un concerto dove, in virtù del tempo passato e nella consapevolezza di avere dalla loro un repertorio sterminato, decidono di ripescare una manciata di canzoni che da tanto tempo non proponevano in setlist: ed è così che riascoltiamo “Lovers’ Grave”, non più suonata dal tour di “Based on Lies”, oppure “Naked Kings”, di cui addirittura non ricordavo più l’esistenza. O ancora, una meravigliosa “Utrillo’s Wine”, un brano che su “Beggar’s Town” era praticamente piano e voce mentre qui viene proposto in una bella e delicata versione full band. Clamorosa poi l’esecuzione di “Tryin’ to Lend a Hand”, il brano acustico che chiudeva Crime Stories, suonata pochissimo già ai tempi del tour. È probabilmente l’highlight assoluto del concerto, memorabile per intensità e impreziosita da una coda strumentale davvero notevole.

Il nuovo album non viene suonato troppo, dato che dopo due anni la novità è in effetti svanita; molto bella comunque la title track, che in sede live diviene leggermente più aggressiva ma che non perde il feeling generale di sospensione. E poi c’è “Head in the Clouds”, lenta, scura e ipnotica, uno dei volti preferiti che i Cheap Wine amano dare alla propria musica.

Chiusura come da copione con “Dreams”, un brano che sa evocare speranza, una luce rara in una scaletta che ha tutto sommato conservato tonalità scure. C’è il solito finale suggestivo con i cinque che abbandonano il palco uno dopo l’altro, lasciando per ultimo Alessio Raffaelli, intento a tenere vivo il giro di tastiera che costituisce il tema portante del brano. Se ne va anche lui, alla fine, ma la melodia aleggia ancora nell’aria, grazie al campionamento.

Sarebbe già di per sé una conclusione perfetta ma c’è troppo entusiasmo e dopo un paio di minuti eccoli di nuovo, con l’ormai classica “The Fairy Has your Wings”: sono passati otto anni ma è divenuta un cavallo di battaglia probabilmente già dalla prima volta che venne eseguita, proprio qui allo Spazio 89. La sua drammatica parte iniziale, la sua progressione strumentale, la sezione ritmica che esplode assieme alle chitarre, il pianoforte che fa da contrappunto, l’assolo finale di Michele: tutti elementi che contribuiscono a creare un affresco musicale ad alta suggestione, senza dubbio uno dei più grandi brani dei Cheap Wine.

Il prossimo passo sarà Yell, il nuovo disco in uscita ad ottobre e realizzato tramite crowdfunding, la cui copertina, disegnata da Alessandro Baronciani, è stata resa pubblica qualche giorno fa. Hanno promesso che verranno a presentarlo qui ed è superfluo dire che non vediamo l’ora.

Nel frattempo, auguriamo loro un’estate piena di concerti, per poter recuperare tutto il tempo perduto.

[ LOUDD - Luca Franceschini ]









FACES tour 26-03-2022: MILANO - Spazio Teatro 89.

25 anni sono un bel pezzo di vita e, soprattutto, un meritatissimo traguardo per una band rigorosamente e fieramente indipendente che in tutti questi anni di attività ha dispensato a piene mani emozioni, gioia e condivisione di ideali non solo musicali.
I pesaresi Cheap Wine sono tornati a Milano per festeggiare e hanno archiviato un altro concerto memorabile.

Due lunghi anni di pandemia hanno segnato pesantemente il cuore affamato degli appassionati di musica live ma sono stati spazzati via in un attimo. Il tempo sospeso ha ripreso a circolare scandito a ritmo di rock ora energico e passionale ora riflessivo e dilatato. Il gruppo tiene sempre alta la tensione e calibra alla perfezione gli entusiasmanti assolo della chitarra di Michele Diamantini e le divagazioni pianistiche di Alessio Raffaelli. Complice il mal di gola combattuto da Marco Diamantini, la voce ha donato un pizzico di Tom Waits alla serata. La batteria di Alan Giannini e il basso di Andrea Giaro sono una rocciosa sezione ritmica, il cuore pulsante di una cifra stilistica decisamente personale.

Il rock americano sapientemente declinato dai Cheap Wine, lo sottolineo con forza, è quanto di meglio sia dato ascoltare oggi in Italia: lo possono testimoniare tutti i fedeli wineheads presenti a Spazio Teatro 89, l’eccellente cornice che ha permesso ascolto e visione ottimali.

Non resta quindi che augurare al gruppo altri 25 anni (ma anche molti di più) di carriera e soddisfazioni. Per farlo è possibile partecipare alla raccolta fondi necessaria alla pubblicazione del loro prossimo disco Yell, in uscita il prossimo ottobre (qui tutti i dettagli). Lunga vita al rock’n’roll, lunga vita ai Cheap Wine!

[ OFF TOPIC - Andrea Furlan ]






DREAMS tour 10-11-2017: PESARO - Teatro Sperimentale.

Le favole esistono. Hanno un lieto fine e i sogni diventano realtà.
Ce lo insegnano i Cheap Wine, storico gruppo rock pesarese che cavalca da vent’anni la discografia e i palcoscenici live realizzando album così belli da apparire irreali. Come i sogni, appunto.

Come quest’ultimo, e dodicesimo, Dreams, autoprodotto come sempre a colpi di passione, volontà ferrea, purezza interiore e, questa volta  crowdfunding.
Per ascoltare e  descrivere i Cheap Wine bisogna abbandonarsi. Appoggiare a terra i bagagli della ragione e della coscienza, gli orditi intricati del quotidiano, e camminare con loro. Percorrere fino in fondo il rettilineo deserto pieno di polvere e  vento, seguendo il viaggio del sole che si spegne fra le Rocky Mountains, nelle orecchie il pulsare potente del sangue, sapendo che ovunque si vada quella sarà la meta, anche se è l’oscurità che dovremo esplorare, prima di varcare il confine fra lo spazio cosciente e il territorio infinito e inesplorato dei sogni.

Si rinnova  ad ogni concerto, la sorpresa, e resta la sensazione di non aver ancora del tutto sondato la profondità ideologica e  i voli liberi di questi cinque ex ragazzi del rock, che da due decenni tengono duro sbandierando la loro poesia, la trasparenza ideologica dei loro testi attuali e generosi, intrisi di simboli, day after quotidiani, precipizi e rinascite fino, appunto, a Dreams, il Sogno. Dieci gioielli, presentati al teatro Sperimentale di Pesaro grazie alla  sempre ispirata dedizione  del direttore Giorgio Castellani in un concerto destinato a restare nella storia, confezionati con la consueta cura grafica e con una rifinitura sonora capillare che non lascia spazio a cedimenti o sbavature perché i Cheap Wine, prima di essere poeti, persone educate e  gentili, rockers coraggiosi e tenaci, amici sinceri  e magneti da palcoscenico, sono innanzitutto musicisti. E che musicisti.

Se gli assoli di chitarra di Michele Diamantini hanno dell’incredibile, come l’uso  drammatico e strabiliante del suo  pedale wah wah, Alessio Raffaelli non suona le tastiere, ma vola, in un gioco sciamanico di tensione e morbidezza che non si insegna e non si impara perché sta dentro. Alan Giannini è un percussionista formidabile, arso da un fuoco sacro che evoca i migliori batteristi delle epopee del rock e il basso di Andrea Giaro non abbandona mai la scena facendosi vestale di una sorta di rito da sacerdoti del suono, che alterna le  cromie gotiche dark  profonde di Bad Crumbs o Pieces of Disquiet, che apre il concerto pesarese,  a respiri ampi a tinte country come nella lucente Cradling My Mind dedicata ai colli smeraldini delle nostre Marche.

Ma c’è qualcosa di diverso, in Dreams, che chiude una trilogia  ideologico filosofica ricca di riflessioni sull’essere umano e sulla realtà storica attuale iniziata nel 2012 con il cupo Based on Lies e proseguita, come un meccanismo a orologeria nel 2014, anno dello splendido Beggar Town.
Dreams
segna il passo con un’ulteriore evoluzione.
La voce profonda e captante di Marco Diamantini, frontman  misurato e carismatico, si arricchisce di finiture morbide e vibrazioni lunghe, incursioni sofferte in un mondo altro che chiede e dà allo spettatore trasportandolo  davvero entro  le realtà inconsce e insondate del sogno.
Echi di tenebra anche in Full of Glow, singolo e video del disco. Incursioni nei vecchi album, con la fisarmonica di Raffaelli in Muddy HopesWaiting on the Door, destinataria di uno splendido video e la mitica Behind the Bars, che rimarca l’impostazione di sempre: tutti e cinque sono protagonisti, emergono con identica pregnanza congiungendo i fili rossi di un ordito che ricama un disegno sonoro bellissimo ispirato al compianto Tom Petty, cui è dedicato il bis finale con A Face in The Crowd.

Dopo aver ascoltato Bad Crumbs si ha l’impressione di non poter incamerare altre sensazioni, invece ecco la raffinata Reflection e poi, finalmente, Dreams, dedicata al piccolo Federico, figlio di Marco e simbolo, come ogni nuovo nato, della speranza che i Cheap Wine tengono desta con una carica di purezza e passione divenute ormai introvabili in ogni settore del vivere umano.
Siamo  loro grati, per questa insolita  capacità di inventare mondi, per il lirismo ondivago e insinuante che sovverte qualcosa nell’anima, per la voglia di crederci, di edificare una musica che bagna e si respira. Un piccolo grande miracolo.
E poi il libro di 274 pagine con tutti i loro testi, le esplosioni floreali della copertina di Dreams: una saga che non è finita qui, e che merita tutta l’attenzione che possiamo.

[ INSCENA GIORNALE - Antonella Ferraro ]








MARY AND THE FAIRY tour 08-10-2016: MILANO - Spazio Teatro 89.

Più o meno due anni fa i Cheap Wine suonavano per la prima volta al Teatro Spazio 89 di Milano. C’era da promuovere il loro ultimo “Beggar Town” e per l’occasione la band fece una cosa che non aveva mai fatto prima: eseguire tutto il disco dall’inizio alla fine quando ancora nessuno, se non gli addetti ai lavori, aveva avuto modo di sentirlo.
Quella fu anche per me una data da ricordare perché fu proprio in quell’occasione, pochi minuti prima dell’inizio del concerto, che mi venne chiesto di unirmi allo staff di Offtopic. Quindi, se adesso sto scrivendo queste righe, è anche merito di quella serata.

Oggi si ritorna nello stesso posto e alcune cose sono cambiate: Marco Diamantini è diventato papà, e i Cheap Wine hanno fatto uscire, ormai un anno prima, un live album contenente otto brani registrati dal vivo a Pesaro, la loro città. Brani che non erano comparsi sul precedente STAY ALIVE!, alcuni raramente eseguiti in concerto, e che nel complesso sono riusciti a fotografare al meglio che cosa vuol dire assistere ad una esibizione di questa band.
E già il primo pezzo sarebbe abbastanza. Quella “Fade Out” che chiudeva MOVING (forse il disco più dilatato e psichedelico inciso dal gruppo) e che ci viene proposta in una versione fiume, profondamente catartica, dove i ricami chitarristici di Michele Diamantini e le luci bassissime contribuiscono a disegnare l’atmosfera perfetta.

Quello di stasera è uno show più riflessivo del solito. Complice anche i brani del nuovo live (che vengono tutti eseguiti), che concedono poco alle accelerazioni rock and roll, i pesaresi suonano poche canzoni ma tutte allungate a dismisura, dando spazio ad assoli e improvvisazioni vari e rendendo chiaro che, col pubblico comodamente seduto in una situazione raccolta, l’ideale è darci meravigliosa musica da ascoltare, complice anche un’acustica finalmente di altissimo livello.

E così ecco arrivare la delicata e malinconica “Dried Leaves”, la sempre dolcissima “I Like Your Smell”, proposta nel suo nuovo arrangiamento di armonica, “Behind The Bars”, con una lunga sezione centrale dedicata al piano di Alessio Raffaelli.
E ancora “Mary”, col suo lunghissimo assolo elettrico, un brano sempre sospeso tra inquietudine e nostalgia e che dal vivo, quando c’è, risulta sempre tra gli episodi migliori.
Da BEGGAR TOWN, un lavoro che dopo due anni ha confermato la sua grandezza ma allo stesso tempo la sua intrinseca difficoltà, riflesso forse della cupezza dei tempi in cui è stato concepito, vengono estratte le prime due tracce, “Fog On The Highway” e “Muddy Hopes”, mentre nel finale arriva anche una “Black Man” più fumosa che mai, una delle poche concessioni ai ritmi elevati di questa sera.
Ovviamente non poteva mancare “The Fairy Has Your Wings”, che è già diventato un classico.
Il commovente ricordo di una persona scomparsa che però, fatto per nulla banale, non trasuda dolore ma è pieno di speranza, di serenità. E poi quel break centrale di pianoforte, quando Alessio Raffaelli rimane da solo a suonare per qualche minuto, con l’atmosfera sospesa e la tensione che si taglia a fette, e gli altri strumenti entrano in un crescendo pazzesco, fino all’esplosione finale del solo di Michele. Sono cinque, sei minuti che riassumono alla perfezione che cosa sono oggi i Cheap Wine.

Perché l’ho già scritto un sacco di volte ma non mi stancherò mai di ripeterlo: una band che suona come loro, in Italia non ce l’abbiamo.
È il rock americano che abbiamo consumato per anni, quello che le generazioni più vecchie della mia hanno utilizzato come grande, e a volte unico maestro di vita, e che qui rivive davvero; non come mera imitazione, ma come appassionata dichiarazione d’amore.
Quando torni a casa da un concerto dei Cheap Wine, anche se ne hai già visti una marea, sei sempre contento ed è sempre come se fosse la prima volta. C’è bisogno di una band così, per ricordare che la musica è importante. Che non salverà la vita, ma che è davvero dannatamente bello che ci sia.
[ OFF TOPIC - Luca Franceschini ]

 




MARY AND THE FAIRY tour 08-10-2016: MILANO - Spazio Teatro 89.

"Eravamo davvero selvaggi.
Feroci. Fragorosi. Pieni di rabbia.
Una rabbia positiva, non distruttiva.


Quella rabbia non si è attenuata. Anzi, è aumentata.
Perchè è diventata più consapevole. E si è incanalata in atmosfere diverse. Solo apparentemente più tranquille.
In realtà, piene di tensione ed intensità. La rabbia prima urlava, adesso parla. E, forse, si fa capire meglio
"
(Marco Diamantini)

La metamorfosi è completata, con la consapevolezza di chi crede ciecamente in quello che fa, dai chiari riferimenti ai "numi tutelari" degli ancora acerbi esordi, ai piccoli capolavori su crimini e viaggio a nome CRIME STORIES e MOVING, moderni ed ambizioni concept, carichi di elettricità ed adrenalina rock.

Dalla furia punk di FREAK SHOW,  alla svolta  bluesy di SPIRITS, turning point dei pesaresi, che ha aperto loro le porte per ampliare la propria audience, fino a due album densi di riferimenti e messaggi come BASED ON LIES e BEGGAR TOWN, incisivi nei testi, intimamente politici senza dover ricorrere a slogan di facile presa. Due opere spiazzanti per chi era abituato ai ritmi incalzanti e ai singalong da cantare quando non c'erano posti in cui nascondersi.

Come naturale conseguenza del nuovo atteggiamento dei pesaresi, il tour di MARY AND THE FAIRY, sancisce la crescita esponenziale di una band che aveva messo da parte un "tesoretto artistico" da utilizzare, introducendo  la dolcezza del piano e della fisa di Alessio Raffaelli, vero valore aggiunto per il nuovo corso artistico dei CW.

Il concerto di Milano ha ribadito lo stato di grazia di una band, passata in vent'anni dal bar/pasticceria con annesso biliardino ai teatri, nemmeno troppo periferici, perfetta collocazione ambientale per questa loro evoluzione nella continuità, un "linguaggio del corpo" mutato nel look, nell'entrata in scena, nel porsi al pubblico con la forza della loro musica senza compromessi, iniziando il loro set con i 17 (!!) minuti di una Fade out intrisa di richiami psichedelici.

Una prima parte di concerto quasi jazzy, in cui spicca una Dried leaves che sembra accompagnare i panorami innevati visti dal finestrino di un rapido senza destinazione.
Eccellente la scelta di piazzare in scaletta una trilogia da CRIME STORIES, canzoni come Murderer Song e Behind the bars sono due degli highlights della serata.
Nulla si è perduto della tensione che pervade i testi e di come vengano tradotti dalla  fiammante Duesemberg di Michele Diamantini. Storie di ladri, assassini, carcerati e carcerieri, di crimini e sensi di colpa sotterrati, di consapevoli pene da pagare. Dopo 14 anni, ancora tra le cose migliori della band.

Marco Diamantini è rilassato sul palco; felici, recenti eventi familiari amplificano il suo status di leader che rifugge i personalismi.

Fog on the Highway, Muddy hopes, Lifeboat e Black Man ci ricordano di aver attraversato attoniti le rovine della Città dei Mendicanti. Quattro momenti di passaggio, composto da canzoni che sono lo specchio di un`opera sicuramente da metabolizzare e che non può accontentarsi di ascolti distratti.

Mary e la Fata sono l`acme del concerto. La prima è dedicata ad una figura femminile che nemmeno l'Autore sa se sia mai esistita, dubbi che si sciolgono negli assoli liquidi di Michele, mentre il drumming potente e stiloso di Alan Giannini e le puntuali linee di basso di Andrea Giaro forniscono carburante ritmico a sufficienza per i 130 minuti del concerto.

La seconda volteggia vestita di bianco, invisibile ma presente, sulle note di un piano etereo, su di un palco dove si veste un nero elegante. In platea, dove  il ricordo di urla, sudore e ritornelli ha lasciato il posto al silenzio rispettoso e ad un claphands che emerge quasi timido in pochi frangenti, come in Dance over troubles.

L'ammissione che il  tanto odiato crowdfunding consentirà l'uscita del prossimo cd dei CW, non scalfisce di un grammo la loro coerenza.

Nessuna bugia quando hai camminato fra le pietre, guidato nella nebbia e sei stato un naufrago che è riuscito a ritrovare una riva su cui approdare.
[ MESCALINA - Fabio Baietti ]

 

 

MARY AND THE FAIRY tour 19-06-2016: FANO (PU) - Sala Verdi.
Cheap Wine + Giuliano Del Sorbo

Doveva essere una grande chiesa bianca dal tetto di cielo. La magia ha invece colmato la Sala Verdi del teatro della Fortuna di Fano, rarefatta e ovattata mentre infuriava, sulla piazza, la tenzone di pioggia a cui quest’estate instabile ci ha assuefatti. Spettatori increduli, quasi in duecento, abbiamo assistito a un evento  eccezionale, fortemente voluto dalla direttrice di questa testata.

Un incanto che difficilmente gli intrecci e i flussi del tempo e del destino potranno replicare:  Time for Action.
I Cheap Wine in concerto e il pittore Giuliano del Sorbo, sciamanico nel generare su un’immensa tela le sue “tronie” fiamminghe,  immaginifiche, che sono mamme e fate, dee e popolane, volute di linee che materializzano un passaggio di stato emozionale: dal vapore indefinito dei sensi al nero materico  della vernice, al pennello, alla tela, alla visione estatica che dalla trance dell’ esecutore promana e si fa, infine, opera d’arte.

L’epopea dei pesaresi Cheap Wine  affonda le sue radici negli anni ’90 e il nome della band viene scelto ispirandosi alla canzone omonima dei Green on Red. Oggi, con i fratelli Marco e Michele Diamantini ci sono anche Alessio Raffaelli alle tastiere, Andrea Giaro al basso e Alan Giannini alle percussioni.

Il sound evoca quello dei cantautori rock americani. I testi, poetici e intimisti, sono in inglese. Undici album nel corso degli anni e sonorità che cambiano, orientano una ricerca inesausta di originalità espressiva. La trovano .
Una highway che corre attraverso l’hard rock, il punk, l’elettrico e sfocia con ampi meandri nelle ballate folk, si veste di indie ed atmosfere western che dipingono rettilinei di polvere e deserti, amarezze da sogno americano, da presente italiano. Tenaci, compatti, eroici nell’autoprodursi rifuggono ogni lusinga commerciale, ogni operazione di marketing che li spinga a rinnegare le loro coordinate, che sono soprattutto d’amore.
Amore per la musica, per il rock, per le parole. Amore per il pubblico cui vengono dedicati cd bellissimi, curati in ogni dettaglio, illustrati da artisti d’eccellenza, come il recente Mary and The Fairy che reca la firma grafica di Giuliano del Sorbo, artista di fama internazionale, noto per le sue action painting estreme e sconvolgenti: insieme sul palco, accomunati da una ricerca, quella che sonda l’anima per estrarne il nucleo e renderlo arte vera,  tesi a  trasmettere l’alito impalpabile di una Fata, appunto, che attende soltanto una materializzazione e aspira a vesti di segni e note per parlare la  sua lingua struggente e forte. Universale.

I testi di Marco Diamantini sono poesie ed era impossibile non leggerne alcune traduzioni. Al microfono si sono alternati Elisabetta Liz Marsigli con Beggar Town (“Chi è il capo in questa città di mendicanti? Chi è  il re con la corona d’oro?”), la splendida Lucia Ferrati  con la commossa The Fairy Has Your Wing (for Valeria) (“Sfidi il fuoco e affronti la tempesta, ne esci con un sorriso, a cavallo di un’onda”) e Giuseppe Esposto con Claim The Sun (“che importanza ha il sole, che importanza ha la pioggia? Se questa canzone non riesce a nutrire la tua anima, allora tutto è senza senso”).

Quindici brani scelti per la chiesa dal tetto di cielo, che hanno rubato il cuore di tutti anche in una sala anonima, perché i Cheap Wine sono veri, sono bravi, sono musicisti eccezionali, dotati di una tecnica fuori dal comune e di qualità interpretative ed improvvisative duttili, nutrite di intelligenza artistica e  ferrei ideali. La voce  notturna di Marco, frontman carismatico, dolente e intenso, gli assoli elettrici,  travolgenti, di Michele, i ritmi dalle  spalle forti di Giaro e Giannini  e le tastiere di Alessio Raffaelli, che dialoga senza cedimenti con le chitarre seguendo l’onda, rendono questa band unica  nel panorama rock italiano e meritevole di ulteriori successi in quello internazionale.

Nulla è affidato al caso: ogni testo riflette un preciso stato d’animo,evoca eventi storici, artistici, legati a grandi personaggi del passato o del presente, richiama a tinte dark  temi d’attualità come lo smarrimento dell’uomo, l’alienazione mediatica, la sospensione della speranza, ma lo spirito non manca mai di proiettarsi in alto, cercare nuove strade  e sintonie. Il coraggio dell’arte.

Perché, come disse qualcuno, “ci vuole coraggio per sognare”.

[ INSCENA GIORNALE - Antonella Ferraro ]

 



BEGGAR TOWN tour 20-03-2015: TRIESTE - Cafè Rossetti.
Cheap Wine + Steve Wynn

A volte i sogni si avverano. Bastava essere presenti al Caffè Rossetti di Trieste venerdì 20 marzo per toccare con mano e vivere la realizzazione del sogno di Marco Diamantini, che giovanissimo, si esercitava in cantina con un gruppo di amici sulle note di “Boston”, uno dei pezzi cult del repertorio dei Dream Syndicate di Steve Wynn, mai immaginando che circa trent’anni dopo l’avrebbe suonata fianco a fianco di uno dei suoi idoli di gioventù.
Per fortuna e per la gioia di tutti i presenti, quello che si sperava è puntualmente arrivato al termine di un concerto intenso durante il quale l’artista californiano, in poco più di un’ora e mezza,  ha attraversato la sua carriera trentennale, pescando non solo nel repertorio del Sindacato del sogno, ma anche nella sua carriera solista ed in quella con i Gutterball ed insieme ai Miracle 3.
E quando Steve ha chiamato sul palco i Cheap Wine per condividere il momento finale di una serata magica, ha mantenuto fede ad una promessa fatta molti anni prima quando ricevette la cassetta con i primi brani incisi dal gruppo pesarese e che avrebbero visto in seguito la luce nell’Ep “Pictures”
Nel ricordare l’episodio e le emozioni nel ricevere la cartolina inaspettata di risposta ecco come Marco Diamantini  ha sottolineato quanto sia stato decisivo quell'incoraggiamento, attraverso il proprio profilo Facebook: <<Eravamo solo dei ragazzi alle prime armi, ma con questa cartolina, Steve ci diede una spinta decisiva. Ci aiutò a credere nel progetto Cheap Wine e ci suggerì che la nostra musica aveva un senso. Ascoltò quelle canzoni e trovò il tempo di scrivermi queste parole piene di forza, anche se era impegnato nel tour di "Melting In The Dark". Con l'umiltà che è solo dei più grandi. Per questo, oltre che per la sua meravigliosa musica, condividere il palco con Steve Wynn è il coronamento di un sogno e di una storia "umana">>.
Ma riavvolgiamo il nastro: Steve ha appena concluso il suo set e alle prime richieste di bis chiama i Cheap Wine a condividere il palco per i venti minuti finali di una serata memorabile, senza aver provato insieme. Non ce n’è bisogno! Partono le note inconfondibili di “Boston” per far ripartire le danze ed esplodere il Café Rossetti, Wynn guida il gruppo: Marco timidamente scopre che può cantare insieme al suo idolo. La chitarra di  Michele Diamantini non fa certo rimpiangere quelle di Karl Precoda e Paul B. Cutler, e tutti i restanti Cheap Wine si trasformano in una delle migliori “versioni” Dream Syndicate mai immaginate.
Il pubblico canta all'unisono trascinando i musicisti verso le vette che solo il rock’n’roll può generare.
Su tutto il sorriso di Marco Diamantini la dice lunga su quello che sta accadendo.
E si continua con una torrida versione di “Amphetamine” lato A di un singolo del 2003 poi ripresa nel best of  “What I Did After My Band Broke Up” che manda in visibilio il pubblico chiamato a raccolta da Trieste Is Rock. Dovrebbe finire qui la serata iniziata tre ore prima, ma il pubblico ne vuole ancora e mentre i Cheap wine iniziano a scendere dal palco, è lo stesso Wynn a richiamarli su e dopo avere dato indicazioni al granitico batterista Alan Giannini, parte con le prime note di “500 Girl Mornings”brano del 1999 pubblicato con i Miracle 3 nell’album “My Midnight”. Totalmente improvvisata, mai suonata dai Cheap Wine, ma l’intesa magica creatasi non lo fa capire, e sembra che tutti abbiano suonato insieme da una vita. Il pubblico è letteralmente in visibilio e canta all’unisono con i musicisti decretando il successo di una serata magica cha ha portato su a Trieste fans da ogni parte d'Italia, perfino dalla lontanissima Calabria, certi di potere assistere a quanto appena raccontato e ben organizzato dall’Associazione Trieste is Rock, che ha superato brillantemente anche l’imprevedibile cambio di location avvenuto negli ultimi giorni, ma che non ha inficiato minimamente la riuscita di una serata che si era aperta con lo show dei Cheap Wine. La tappa triestina del Beggar Town Tour è stata ridotta giocoforza per la condivisione del palco con Steve Wynn, ma questo non ha tolto nulla all’intensità di uno show ricco di pathos. Aperto dalle note di “Fog On The Highway”il concerto si è sviluppato quasi integralmente sui brani di BEGGAR TOWN, mettendo in mostra la maturità raggiunta dalla band pesarese. Come sempre la chitarra di Michele Diamantini a farla da padrone, ma il sempre più bravo fratello minore, non risulta mai invadente con i suoi “solo” fronteggiato molto bene dalle tastiere di Alessio Raffaelli che cesellano le atmosfere intime di alcuni brani, mentre il basso di Andrea Giaro e la batteria di Alan Giannini danno corpo ad un sound che ha pochi rivali oggi in Italia.
Tra i momenti migliori  di uno show molto ben calibrato, le nuove canzoni come “Muddy Hopes”, "Beggar Town” e “Black Man” che hanno già la statura dei classici, e la ripresa di “Mary”e “Freak Show” accanto ad una meravigliosa e lunghissima versione di “Behind the Bars” tornata in pianta stabile nelle scalette dei concerti dei Cheap Wine, con grande soddisfazione dei fans di vecchia data.
La chiusura come nell’album è stata affidata a “The Fairy Has Your Wings” una delle più belle canzoni mai scritte da Marco Diamantini sulla quale il lungo assolo di Raffaelli porta il live ad un climax di emotività unica.
Poi è tempo di lasciare spazio alla leggenda di Steve Wynn per il suo concerto solo elettrico che sta attraversando l’Europa. Wynn si presenta con una versione di “Tell Me When It’s Over” quasi trasformata in una torch song, spaziando poi lungo un vastissimo canzoniere da cui attingere e che gli fornisce la possibilità di creare anche solo con voce e chitarra, momenti in cui l’adrenalina possa scorrere a fiumi “Carolyn”, “The Day of Wine and Roses” , “Cloud Splitter” oppure avvolgersi nell’intimismo come in “Sustain” “Whatever You Please”, “Burn” e “I Ride Alone”, raggiungendo uno dei picchi emotivi durante l’esecuzione della cover di “Coney Island Baby” di Lou Reed. Trent’anni di carriera raccontati in un’ora e mezza di grande musica che ha suggellato, se mai ce ne fosse stato bisogno, la grandezza di uno dei più grandi songwriters americani.
Poi la jam finale già raccontata ed un dopo concerto fatto di attenzione verso il pubblico che è rimasto a conversare a lungo con l’artista. In chiusura un doveroso plauso a tutti i componenti dell’organizzazione di Trieste Is Rock, appassionati e competenti organizzatori di una serata meravigliosa che tutti i presenti terranno tra i ricordi più belli.
[ SOTTERRANEI POP - Eliseno Sposato ]


 

 

 

BEGGAR TOWN tour 08-01-2015: MILANO - Nidaba Theatre.
Cheap Wine acoustic trio

È una formula inedita quella che i Cheap Wine hanno scelto per dare voce a BEGGAR TOWN, il loro ultimo disco, uscito pochi mesi fa e che personalmente ho votato tra i miei preferiti dell’anno appena trascorso. Li abbiamo ammirati spesso in elettrico, con le atmosfere delicate e soffuse a mescolarsi sapientemente nelle sfuriate rock, con gli assoli infiniti di Michele Diamantini a trasfigurare le canzoni e con la batteria di Alan Giannini a pestare indiavolata garantendo ritmo a volontà. Per una volta, nulla di tutto questo. A dicembre i pesaresi hanno deciso di tenere tre date in formazione ridotta e rigorosamente acustica, per portare il nuovo album e il vecchio repertorio in una dimensione nuova, magari anche più vicina all’essenza originale delle canzoni.
A quanto pare l’esperimento ha avuto successo, perché col nuovo anno le serate di questo tipo sono riprese, dandomi così la tanto sospirata occasione di intervenire di persona. E l’occasione è ghiotta, in effetti. I Cheap Wine full band li conosco bene, ho già anche assistito ad un paio di show di questo nuovo tour, ho già assaporato a dovere la resa live di BEGGAR TOWN In questa veste però c’è ancora tutto da scoprire e potrebbe rivelarsi veramente interessante, considerato che nella loro musica sono presenti diversi momenti che verrebbero valorizzati benissimo in una dimensione unplugged.
Il Nidaba Theater non è un teatro, a dispetto del nome, ma un pub piccolo e accogliente, con le pareti ricoperte dalle locandine degli artisti che vi hanno suonato in tutti i 19 anni della sua storia. Si tratta della location ideale per uno show di questo tipo, non fosse per l’ambiente strettissimo e la sistemazione dei tavoli un po’ confusionaria, che ha reso un po’ difficile al pubblico seguire comodamente quello che avveniva sul palco.
Alle 22.30 Marco e Michele Diamantini e il tastierista Alessio Raffaelli, fanno il loro ingresso in scena. Un breve intro di pianoforte e armonica sfocia in Nothing Left To Say, accompagnata solo dai tasti di Alessio, con anche lo stesso Marco che si limita a cantare.
Seguono, da Beggar Town, Fog on the Highway e Muddy Hopes; lente, fumose, quasi strascicate, con la voce di Marco che è quasi un sussurro, risultano tremendamente affascinanti e sembrano letteralmente portare in vita gli scenari raccontati nel testo.
Con Waiting on the Door, singolo del precedente Based on Lies, viene innestata una ventata in più di energia, pur sempre all’interno di una dimensione contenuta. Non è un concerto facile, comunque. Gli arrangiamenti non sono poi radicalmente diversi rispetto alle versioni originali (le linee vocali rimangono identiche, ad esempio), anche perché le canzoni dei Cheap Wine, di base, sono semplici e sono adatte ad essere suonate in qualunque contesto e modalità. Nonostante questo, l’assenza della sezione ritmica, mette in primo piano la voce di Marco e pone quindi il testo in evidenza.
Meno energia e più narrazione, insomma, con gli assoli di elettrica a rappresentare l’unica concessione alla robustezza sonora. Naturale che chi non conoscesse a fondo le canzoni, potrebbe avere avuto problemi.
Il fascino è però innegabile: ogni pezzo splende di nuova luce e gli intrecci tra il piano di Alessio Raffaelli e la chitarra di Michele Diamantini sono magnifici, sia che fungano da appoggio alla voce di Marco, sia che si producano in meravigliose fughe soliste.
Notevole anche la setlist, che si discosta volutamente da quella elettrica di questo tour, per andare a recuperare cose che si prestano di più ad essere suonate in questa formazione a tre e che non sono proprio all’ordine del giorno nei concerti dei nostri. Ecco dunque arrivare Dried Leaves, impreziosita da un gran lavoro di slide, l’allucinata e psichedelica Snakes, la romantica Circus of Fools (con tanto di Alessio alla fisarmonica) e, soprattutto, I Like your Smell, straziante ballata sulla pena di morte, semplicemente una delle cose per cui i Cheap Wine possono guardare dritto negli occhi i grandi del rock americano.
Accanto a queste, non mancano i nuovi brani e fa piacere constatare come anche in questa veste le varie Lifeboat, The Fairy Has your Wings e l’inno positivo Claim the Sun (dedicata all’amico Edward Abbiati dei Lowlands, presente tra il pubblico), evidenzino tutta la grandezza del disco di cui fanno parte. Colpisce anche una lunga versione di Mary, un vecchio brano che, dice Marco, “non pensavamo potesse funzionare senza basso e batteria, invece siamo stati smentiti”. Verissimo, anche se in elettrico rimane un’esperienza ben diversa. Si chiude col pazzesco ripescaggio di A Blaze in the Dark, da quell’antica perla che era Ruby Shade (siamo sempre in attesa di una bella ristampa su cd) ma il pubblico non li vuole far andare via. Ecco allora che, dopo un rapido consulto, i tre ci propongono una Dance Over Trouble che, nonostante l’unplugged, non perde un’oncia della sua carica irresistibile. 
Non c’è niente da fare, in Italia (ma anche al di fuori), i Cheap Wine hanno ben pochi rivali. Andate a vederli se ve li siete persi: di date ce ne sono ancora un bel po’…
[ OFF TOPIC - Luca Franceschini ]



BEGGAR TOWN tour 18-12-2014: NAPOLI - Archivio Storico

Napoli è la città più a sud toccata dal Beggar Town Tour dei Cheap Wine, che ritornano per la seconda volta all'Archivio Storico, un bellissimo locale ma con una sala per concerti un po' troppo piccola per accogliere il pubblico di veri appassionati che ha raccolto l'invito di Massimo  Massimi, curatore degli eventi rock del locale partenopeo.
La location angusta non ha per nulla inficiato la resa sonora del concerto ed ha reso tutto molto più intimo abbattendo la distanza tra pubblico e band, creando un'atmosfera molto suggestiva con la penombra creata dagli enormi lampadari, ingabbiati in alcune voliere che amplificano l'effetto retrò della sala ricca di quadri alle pareti che raccontano la storia dell'Italia meridionale, ma soprattutto consentono di concentrarsi solo sulla musica.
La band si sente a casa, anche per la presenza inaspettata di amici di vecchia data ma non solo, ed è pronta dare tutto non appena partono le prime note di "Fog on the Highway"  brano di apertura del nuovo album che naturalmente costituisce l'asse portante del set.
L'anima blues di BEGGAR TOWN viene subito messa a nudo da "Muddy Hopes", mentre sui registri lenti di "Destination Nowhere" si riescono a cogliere i registri armonici creati dalle  tastiere di Alessio Raffaelli e dalle eleganti linee di basso ricamate da Andrea Giaro per nulla sovrastate dagli assoli di Michele Diamantini. A seguire una stupenda versione di "Behind the Bars" che sfiora i dieci minuti, impreziosita da una dedica da brividi durante la quale Marco Diamantini, spiega come e perché questo brano è tornato in scaletta nei concerti. Pur mantenendo la struttura portante, questo brano è rivestito di nuova luce dai fraseggi di Raffaelli e mostra il grado di maturità raggiunto dai Cheap Wine. Ci sarebbe già di che essere soddisfatti e tornare a casa felici, ma siamo solo all'inizio e ci sono molti altri colpi da assestare, a cominciare da "Black Man" uno dei brani nuovi destinati ad entrare nel cuore dei fan e che ha già la statura dell'anthem. Su questo brano si può cogliere l'interpretazione di Alan Giannini, un batterista che non solo sostiene i brani o pesta duro su pelli e piatti, ma che è capace di interpretare ogni passaggio rendendolo elegante o stradaiolo a seconda dei casi.
Su "Claim the Sun" ci si rende conto come la chitarra di Michele resti sempre il tratto distintivo di una band che è molto di più di una semplice formazione rock. Il passaggio successivo con "Beggar Town" e "Leave Me a Drain" mette in evidenza questo tratto ma quando arriva "The Fairy Has Your Wings" si è portati a riflettere e chiedersi quante siano le anime presenti nella musica dei Cheap Wine. Marco racconta come sia un brano dedicato a Valeria sua compagna per otto anni e poi per altri quattro del suo migliore amico scomparsa di recente, <<ma non è una canzone triste>>. Ma hai voglia dire che non lo sia, visto come spinge giù a scavare sentimenti nel profondo dell'anima. Un brano vissuto da tutto il gruppo con un'intensità fuori dal comune che ne amplifica ogni sfumatura. Asciugate le lacrime del cuore, con "Waiting on the door" si riacquista la leggerezza necessaria per riprendere il ritmo: un singolo che centinaia di gruppi pagherebbero per avere in repertorio. Ancora ricordi da raccontare per introdurre "Keep on Playing" dedicata alla nonna dei fratelli Diamantini che deliziava i concittadini pesaresi con il suono del primo grammofono portato dagli Stati Uniti.
Siamo quasi al climax del concerto quando i Cheap Wine piazzano un altro dei loro pezzi da novanta. "City Lights" mette un sigillo ad un concerto fuori dal comune dove si tocca con mano la coesione, la bravura e l'anima profondamente rock di una band che se arrivasse dall'estero, sarebbe acclamata da orde di fans, ma che invece resta relegata in un piccolo angolo che viene scoperto come le cose più preziose solo da chi è animato dalla curiosità della ricerca della vera anima del rock'n'roll.  "To Face a New Day" e "Reckless" chiudono alla grande un bellissimo live, ma il pubblico ne vuole ancora e Marco Diamantini e compagni regalano la oramai classica versione di "One More Cup of Coffee", eseguita per la prima volta quest'anno,  e "Set Up a R'nR Band" eseguita con il sorriso stampato sul volto di tutti i musicisti e di un pubblico che tributa la giusta ovazione alla più grande rock band italiana.
[ SOTTERRANEI POP - Eliseno Sposato ]

 

 

 

BEGGAR TOWN tour 20-11-2014: PESARO - BartendHer

Calorosissima accoglienza al Bartendher per il primo concerto a Pesaro dei Cheap Wine con il nuovissimo album BEGGAR TOWN. Un disco "magico" che cattura fin dal primo ascolto, che sta riscontrando numerosissimi consensi anche nelle varie tappe del tour italiano della band pesarese.
Ho conosciuto tardi i Cheap Wine, ma ho cercato di recuperare subito perché mi hanno letteralmente rapito con la loro travolgente musica. Grazie al mio compagno che li segue da tanti anni,  mi sono sciroppata 10 anni di scatenato e appassionato rock in poco tempo e me ne sono innamorata.
Ma questo BEGGAR TOWN è qualcosa di diverso: non perché sia lontano dal loro stile, ma forse per la profonda maturità, per l'emozione che mi ha provocato fin dal primo ascolto. A Milano, al loro debutto, è stata un'emozione forte: mi è scivolato dentro impetuoso, con tutta la sua oscura potenza. Brividi lungo la schiena e calde lacrime per la nostra amica, una miscela esplosiva...ora lo ascolto e lo riascolto senza stancarmi mai, ottimo compagno di viaggio in auto, a tutto volume...forse qualcuno pensa che sono pazza mentre  trasformo il volante in una batteria o in un pianoforte, ma è impossibile rimanere indifferenti. Questo album batte in sincrono con il cuore, con il mio e con quello di ognuno dei Cheap Wine, fusione perfetta di musica e poesia.
Aggiungo le brevi note di un mio articolo su il Messaggero, perché quell'emozione non si spegne: "A due anni da “Based on lies”, le atmosfere rarefatte, i paesaggi piovosi, le macerie, gli eroi in fuga e i Vampiri come “angeli selvaggi del dolore”, si ritrovano nella città dei mendicanti, il cui re “ha mollato gli ormeggi, è un relitto libero di fluttuare”. I testi del nuovo cd, tutti del leader Marco Diamantini, mantengono un'identità forte, trame letterarie che urlano disperazione senza perdere la speranza, che nutrono di senso l'esistenza attraverso la musica. Guerrieri in città ricoperte di fango e ipocrisia, dove “la pietà è morta” e  “il tempo è un inganno che gioca con la nostra follia”.
C'è sete e bisogno di qualcuno che risvegli la voglia di ascoltare e la dignità di sopravvivere contro ogni logica di potere.
BEGGAR TOWN arriva dritto, senza vane scorciatoie, e ti colpisce fino in fondo, senza inutili parafrasi: la musica è potente, i testi di profonda sensibilità e rabbia, con tutta la grinta necessaria di un sano rock d'autore."
E chissà che la magia di questo album non sia finalmente un modo per decollare verso il successo vero e meritato. E come in "The fairy has your wings": "Il cammino è iniziato, la paura del buio non prevarrà. E il suono della tua voce conduce al luogo dove ogni storia diventa una fiaba"
[ IN SCENA - Elisabetta Liz Marsigli ]

 




BEGGAR TOWN tour 04-10-2014: MILANO - Spazio Teatro 89

Una città di straccioni, scura come la notte, popolata da anime randagie in cerca di ristoro. La fuga non è possibile, non è prevista. La realtà è spietata, vivere un atto di eroismo quotidiano. Rabbia e disillusione sono l’unico cibo disponibile, ma, anche quando sembrano avere il sopravvento, rimane comunque un filo di speranza cui aggrapparsi. Se non fosse così, resterebbe solo la follia.
I Cheap Wine non offrono soluzioni consolatorie o messaggi rassicuranti. La loro è la cruda descrizione del degrado morale della società in cui viviamo, del buio che la circonda e della lotta per restare vivi. Fieri, ribelli e indipendenti, quindi, con il coraggio di opporsi e dire no. Unica arma la musica.
Attrezzati con i dieci album che hanno stampato in diciotto lunghi anni di carriera, il gruppo pesarese, ricevuto nella bella location dello Spazio Teatro 89 per la data di apertura del Beggar Town Tour, ha presentato il nuovissimo lavoro suonandolo per intero dal vivo. Una serata ad alto tasso emozionale per la qualità della proposta e l’intensità con cui hanno saputo catturare l’attenzione del pubblico.
I Cheap Wine hanno un grande cuore e una capacità di coinvolgimento unica. Ogni singola nota è stata cesellata con cura artigianale, dipingendo un entusiasmante quadro sonoro in cui ogni tassello è andato al posto giusto. Rock ad alta levatura. Un suono divenuto un marchio di fabbrica che raccoglie sia le istanze garage del paisley underground che la temperie autorale di Neil Young, il tutto unito ad una vena acida e riflessiva che bagna di psichedelia le ultime composizioni.
Lontani dalle mode e dagli hype, non hanno lunghe barbe incolte per sottolineare una finta trasandatezza. Instancabili nella loro cocciuta testardaggine a voler fare tutto da soli, proseguono il loro cammino con eccellenti risultati. E’ l’unica via possibile, senza compromessi.
Chi era presente a Milano potrà testimoniare di non aver partecipato ad un semplice concerto ma di aver vissuto una serata indimenticabile che porterà per sempre nel cuore.
[ OFF TOPIC - Andrea Furlan ]




BASED ON LIES tour 19-10-2013: TORINO - Magazzino Sul Po

Dopo una grigia giornata di un autunno dove il cielo plumbeo sembra essere diventato una caratteristica costante, la musica dei Cheap Wine ha aperto uno squarcio di luce nella notte buia di una Torino alle prese con gli annosi problemi dell’ordine pubblico nell’angolo più caldo della movida, cioè il tratto compreso tra Piazza Vittorio Veneto e i Murazzi sul Po.  Torino, si sa, ormai da anni non è una piazza facile per la musica rock lontana dal mainstream e ‘Il Magazzino sul Po’, nuovo nome di uno storico locale dei Murazzi, invitando i Cheap Wine ha fatto una scelta coraggiosa, che ci auguriamo possa fungere da apripista per portare il rock italiano di qualità a Torino. 

Si trattava del primo concerto della band a Torino, malgrado il gruppo sia in attività dalla fine degli anni ’90 e abbia fatto numerosi proseliti nel Nord Italia. I Cheap Wine sono arrivati a Torino con l’entusiasmo e la carica che li contraddistingue e hanno dato l’ennesima prova di essere grandi musicisti e grandi professionisti deliziando i presenti con un tiratissimo concerto di un paio di ore. Il concerto di Torino è capitato nel mezzo della tournée autunnale di Based on Lies e molti dei brani suonati al ‘Magazzino Sul Po’ provenivano proprio dal loro ultimo cd come la grintosa Breakaway,  con le chitarre in evidenza e la voce di Marco Diamantini che descrive  con parole dure la totale perdita di orientamento e di valori dei giorni nostri, la cavalcata ipnotica di  Waiting on the Door, la stupenda To Face A New Day , dove la chitarra di Michele Diamantini detta legge e dove si ritrova la quintessenza del dramma dei giorni nostri in cui  non si riesce ad intravedere un futuro,  e il capolavoro Vampire con il suo assolo finale al fulmicotone. Non sono mancati brani classici del gruppo come la potente Leave Me A Drain  e neanche alcune delle loro cover più belle come Ballad Of A Thin Man di Bob Dylan e Lost In The Food dall’album di esordio di Bruce Springsteen, Greetings From Ashbury Park, uno dei ‘pallini’ storici del Frontman  Marco Diamantini. La chiusura del concerto è stata affidata alla cruda satira di Freak Show, un brano sempre travolgente con i suoi improvvisi stacchi ritmici.

I Cheap Wine hanno mostrato ancora una volta (non che ce ne fosse bisogno..) di essere una band formata da musicisti ‘veri’, capaci di riempire la scena senza mai far abbassare l’attenzione del pubblico. Una sezione ritmica inappuntabile con il drumming prepotente e preciso di Alain Giannini e il basso essenziale di Alessandro Grazioli costituiscono il ‘pavimento’ del sound della band, su cui Alessio Raffaelli al piano elettrico costruisce i suoi arrangiamenti armonici e la lead guitar di Michele Diamantini spazia dagli assoli elettrici e visionari ai riff taglienti come lame, mentre la voce calda e ricca di sfumature di Marco Diamantini accompagna il suo lavoro alla chitarra ritmica. 

Alla fine del concerto le porte del ‘Magazzino sul Po’ si sono aperte sui Murazzi e gli spettatori coraggiosi che per due ore si erano immersi nel microcosmo del grande rock si ritrovano a contatto di un tutt’altro che edificante spettacolo di una movida sgangherata, fatta di bottiglie vuote lasciate per terra e di facce di orde di giovani, spesso perse nel nulla di alcool e pasticche, ma questa è un’altra storia…
[ MESCALINA - Roberto Contini ]

 

 

BASED ON LIES tour 11-05-2013: OBERTRUBACH (GERMANY) - The Studio Lounge

Irgendwo in der fränkischen Schweiz, ein paar Dutzend Kilometer nördlich von Nürnberg, erwartet einen eine Menge. Hier gibt’s noch günstiges und gutes Essen, schmackhaftes Bier, eine herrliche Wanderlandschaft, fränggischen Dialekt und … italienischen Roots Rock!
Letzteres natürlich nicht jederzeit und wie es die fünf Typen von CHEAP WINE ins mittelfränkische Trubachtal verschlagen hat, das führt an dieser Stelle zu weit. Mir haben jedenfalls ihr letztes Studiowerk und das vorangegangene Live-Album so gut gefallen, dass mich die leicht komplizierte und gute 1 ½ Stunden dauernde Anfahrt nicht schreckt. Die Entscheidung war definitiv richtig, das wissen wir schon beim Betreten des unscheinbaren Gebäudes. Drinnen findet sich nicht nur eine tolle Lounge-Bar im Erdgeschoss, sondern, eine Etage höher, auch ein Konzertraum, der aufs Beste eingerichtet ist, eine große Bühne beinhaltet, Sitz- und Tanzmöglichkeiten bietet und mit modernster Studio- und Beschallungstechnik aufwartet. Selten war ein Konzert so gut vorbereitet. Dass der Lounge-Inhaber, Bobby Bachinger, sein Werk versteht und die Technik beherrscht, krönt den Abend vorab.
Erwartungsvolles, dennoch gemäßigtes, Klatschen begrüßt die Gebrüder Diamantini und ihre drei Mitstreiter auf der Bühne und nach ein paar freundlichen Worten geht’s auch schon los und das Publikum lässt sich in die (musikalische) Welt von CHEAP WINE entführen.

Man Stelle sich eine Band vor, die einen Lead-Sänger hat, der eine Mischung aus Tom Petty und Dan Baird ist, einen Lead-Gitarristen, der an Dave Davies erinnert, einen Bassisten, nicht so weit von einem jungen Tom Waits und … ach, macht euch eure eigenen Vergleiche. Jedenfalls kommen die fünf Italiener absolut sympathisch rüber und musikalisch hört man ihre anderthalb Jahrzehnte "on the road" und im Studio an: Da stimmt jeder Ton, jede Nuance ist durchdacht und erprobt. Dabei wirkt das keineswegs steril, sondern richtig ansteckend. Sänger Marco Diamantini greift sich zunächst die Akustische und die ersten Songs lassen es auch noch etwas ruhiger angehen.
Die Band ist auf Tour um ihr aktuelles Album "Based On Lies" zu promoten und entsprechend stammen einige Songs aus diesem empfehlenswerten Album. Der Titelsong eröffnet den Abend auch gleich bestens mit seinem "Lounge-Flair", der hier natürlich besonders gut passt.
Der flotte Country-Rock von A Pig On A Lead treibt bereits die Ersten auf die Beine und mittänzelnd vor die Bühne.
Mittlerweile gehört ja der Keyboarder/Pianist Alessio Raffaelli fest zur Band und seine fundierte Spieltechnik bereichert den Sound deutlich. Er singt auch eine zweite Stimme, die man leider nicht immer so gut hört, aber seine Läufe über die schwarzen und weißen Tasten zaubern einem unwillkürlich ein freudiges Strahlen ins Gesicht. Dazu sei das Anspielen von The Big Blow dringendst empfohlen!
Bei letzterem Song glänzt auch Bassist Alessandro Grazioli mit tollen Fingersätzen und er liefert zusammen mit Alan Giannini jederzeit einen wasserdichten Rhythmus, der die Musik von CHEAP WINE trägt und antreibt.
Oft genug basiert die Musik der Band nicht auf "Lügen", sondern auf Mollakkorden, die eine eigentümliche an staubigen Desert-Rock erinnernde Atmosphäre schaffen und einen ihrem Verlauf immer mehr in eine fast hypnotische Stimmung ziehen.
La Buveuse und Lovers' Grave sind dafür gute Beispiele. Johnny Cash ist zu früh verstorben, sonst hätte er einen dieser Songs für seine "Americana"-Alben aufnehmen müssen! Das Strange Girl - namens Mary - wird dann geradezu sphärisch, steigert sich aber auch mit einem herrlichen Gitarrensolo von Michele Diamantini, der sparsame aber gezielte Wah-Wah-Effekte einsetzt.
Als dann Marco sich die Tele über die Schulter und den Mundharmonkiahalter um den Hals hängt und die Band sich in eine mitreißende Version von Breakaway (ebenfalls vom neuen Album) stürzt, hält es nur noch wenige auf den Stühlen und es wird vor der Bühne ordentlich abgerockt. Ich erstelle mal, dass nur wenige diese flotte Nummer vorher kannten und trotzdem sind die Anwesenden so begeistert, als wäre es ein Jahrzehnte alter Rock-Klassiker. Wäre es auch, hätten Petty oder Neil oder Bob den vor Jahren geschrieben.

Nochmal zum Sound: Der kommt wirklich so spitzenmäßig und ausbalanciert, dass man fast eine CD vermuten könnte. Lediglich der Wumms des Schlagzeuges wird dadurch gemindert, dass das Drumkit hinter einer Glasabtrennung steht. Das kommt auf der anderen Seite der Lautstärke und dem Sound der anderen Instrumente zugute, aber Drumfetischisten werden ein klein bisschen den Dampf vermissen.
Michele Diamantini streift sich auch öfter mal das Slide-Röhrchen über und in Verbindung mit solch Blues- und Roots-Rock-infizierten Songs wie The Seas Is Down (Album "Spirits", 2009) wundert es nicht, wenn es da aber ganz schwer nach den BLACK CROWES klingt.
Zur Halbzeit wird auch hier eine kleine Pause eingelegt, aber alsbald geht es weiter und spätestens beim Akustik-Texas-Boogie von Leave Me A Drain ist die Stimmung wieder prächtig. Herrlich "staubende" Slide-Soli wieder von Michele Diamantini und raue Vocals vom Bruderherz.
Dias melancholische Piano-Stück On The Way Back Home bringt noch einmal eine etwas nachdenklichere Stimmung ein, aber danach geht es fast nur noch ab. Man hat oft das Gefühl, als würden die Lieder ineinander übergehen, oder ein Song nimmt das Thema des Vorhergehenden wieder auf, variiert den Rhythmus oder die Melodie nur leicht.

Dabei haben die Songs so eine Klasse, dass sie schnell ins Ohr gehen und man sie wie gute Bekannte begrüßt. Wer könnte sich Ohrwürmern wie Waiting On The Door entziehen?
Oder Rock-Hymnen wie To Face A New Day? Wie gut sich die Band hier auf der Bühne, bei ihrem zweiten Deutschlandkonzert überhaupt (das Erste fand einen Tag zuvor statt), fühlt, sieht man den immer wieder über die Gesichter huschenden Lächeln an und besonders Lead-Sänger Marco Diamantini geht immer mehr aus sich heraus, hüpft, dirigiert das Publikum, drischt auf seine Telecaster ein und drückt aufs Tempo. Und findet nahezu kein Ende. Gegen Schluss ist sich die Band nicht ganz sicher, wie sie diesen wundervollen Abend beenden soll, und fragt schon nach Songwünschen.
Das beschert uns eine weiteres Mal die oben genannte Mary, die zwar sehr ruhig ist, aber eben auch den Namen mit der Frau des Clubinhabers teilt. Aber das ist zu ruhig, um hier von der Bühne zu steigen und so folgt noch eine - für mich - absolut unterwartete Coverversion von Six Days On The Road. Das fährt die Stimmung nochmal richtig hoch und krönt dieses Abend perfekt.

Der sich schnell verringernde CD- und T-Shirt-Stapel am Merchandisingstand spricht Bände und man sieht bei Band wie Besuchern nur zufrieden grinsende Gesichter.
Eine erstklassige Band hat hier ihre Visitenkarte abgegeben und fährt leider am nächsten Tag schon wieder gen Heimat. Hoffentlich haben in Deutschland bald wieder - und hoffentlich auch ein paar mehr - Leute die Gelegenheit, CHEAP WINE zu erleben. Es lohnt sich wirklich!
[ HOOKED ON MUSIC - Epi Schmidt ]

 

 

BASED ON LIES tour 25-01-2013: LEGNANO (MI) - Circolone

Non è ancora finito il mese di gennaio, ma già una convincente candidatura ad un eventuale titolo di 'concerto dell'anno' è stata presentata e benché il calendario si prospetti ricco di appuntamenti di grande rilievo – in ordine sparso, e dimenticando certamente qualcuno, Steve Wynn & Chris Cacavas, Southside Johnny, il nuovo appuntamento con l'epopea italiana di Bruce Springsteen, Neil Young e Leonard Cohen inseriti nel cartellone di Lucca, senza naturalmente contare i tanti artisti italiani che percorrono la nostra penisola per esibirsi dal vivo – non sarà facile per nessuno superare i Cheap Wine visti venerdì 25 gennaio al Circolone di Legnano.
La band dei fratelli Diamantini torna sul palco della rassegna Americana ormai riferimento obbligato per gli appassionati del genere, nel cui ambito – in una precedente edizione – fu protagonista di una splendida esibizione nel novembre 2011, e conferma dal vivo l'ottima impressione suscitata dal recente Based on Lies, nono capitolo della loro ormai nutrita discografia.
Un album che segna un ulteriore passo avanti nel processo di crescita artistica dei Cheap Wine e che, non a caso, ha meritato il terzo posto (ma, permettetemi di dire:  primi assoluti fra gli umani, visto che le due prime posizioni sono occupate da due alieni quali Bob Dylan e Bruce Springsteen) nella sezione 'Americana' del poll 2012 di Mescalina.
Ed è stata proprio la title track del nuovo album ad aprire il concerto legnanese, seguita da A Pig on the Lead, rivisitazione in chiave rock della vicenda del partigiano Silvio Corbari contenuta nell'album Spirits, e  da The Big Blow.
La serata decolla con La Buveuse, altro brano tratto da Spirits contrassegnato da un andamento lento ed ipnotico che si dilata nel finale in un prolungato, spettacolare assolo di Michele Diamantini.
Da qui il concerto cambia marcia con una grande versione della Lovers' Grave che apre il loro ultimo album ed i Cheap Wine spingono decisamente il piede sull'acceleratore per un set tiratissimo che supera abbondantemente le due ore e mezza di durata, in cui – a fianco di tutti gli undici brani di Based on Lies – trovano spazio alcuni dei classici (perché tali ormai devono essere definiti) dell'ormai vasto repertorio della band marchigiana che, certamente in maniera non casuale, presenta una scaletta totalmente autografa, senza le covers che in passato arricchivano le loro set lists, quasi a volersi affrancare dai loro maestri di un tempo.
Tra i nuovi pezzi, si segnalano certamente Give Me Tom Waits (...Give me Cheap Wine!: e, con tutto il doveroso rispetto per mr Waits, se ci sono loro sul palco, la sua presenza non è strettamente necessaria...) già assurta a vero inno, cantata in coro dal numeroso contingente di Wineheads che affollano il Circolone, la stupenda On The Way Back Home - a mio avviso il vero gioiello di Based on Lies, ballata scandita dal piano di Alessio Raffaelli, persuasiva testimonianza della maturità e della acquisita versatilità compositiva raggiunta dalla band – e la travolgente Lost Inside.
Tra la altre, una sferragliante The Sea is Downla classica Mary tratta da Ruby Shade secondo album della band datato 2000, le sempre entusiasmanti Freak Showe Jugglers and Suckers eseguite in successione tra loro in chiusura del set, prima che il gruppo venga richiamato sul palco per i bis di Evil Ghost e Leave Me a Drain.
La granitica sezione ritmica formata da Alan Giannini alla batteria e Alessandro Grazioli conduce le danze, lasciando a Marco Diamantini il proscenio che occupa con una presenza scenica non comune, alternandosi tra voce, chitarra ritmica ed armonica.
Michele Diamantini si conferma chitarrista di capacità tecniche superiori, con i ripetuti  assoli che non trascendono mai nel virtuosismo fine a sé stesso, ma risultano la trave portante del sound del gruppo.
A fargli da contrappunto, le tastiere di Alessio Raffaelli, il cui arrivo nei Cheap Wine ha senz'altro determinato un ulteriore salto di qualità (per quanto già elevata in precedenza), garantendo un impatto sonoro più completo e variegato.
In una delle rare pause di questa stupenda serata, Marco Diamantini rivolge un invito a sostenere le band indipendenti italiane, che senza alcun supporto – se non quello del pubblico che compra i loro album e frequenta i loro concerti – sono testimoni e portatrici di una sincera passione musicale.
Non farlo, in questo caso, sarebbe davvero un delitto: fossero nati in California o, giusto per dire, nel New Jersey, con tutta probabilità i Cheap Wine sarebbero delle star internazionali.
[ MESCALINA - Luciano Re ]

 

BASED ON LIES tour 25-01-2013: LEGNANO (MI) - Circolone

"In realtà l’Italia è uccisa dal provincialismo e la cosa più grave è che noi ce ne siamo sempre fregati. Non capisco perché qui debba esserci l’idea che se fai musica, gli unici canali per cui puoi avere successo sono quelli della musica leggera, di Sanremo, di uno scimmiottamento dei cantautori. Sai cosa ti dico? I nostri dischi vengono recensiti regolarmente anche all’estero e lì mai nessuno ci ha definiti una band “italiana” che suona musica “americana”. Lì guardano alla musica e basta. Se gli piaci, lo scrivono, altrimenti dicono che fai schifo, fine della storia.”
Non ha peli sulla lingua Marco Diamantini, cantante e chitarrista dei pesaresi Cheap Wine. Già, perché a un gruppo come il loro, che è in giro da quindici anni, l’etichetta “Made in USA” appiccicata come se fosse un’anomalia, proprio non va giù. “Io sono nato e cresciuto vedendo gli stessi film e leggendo gli stessi libri di un ragazzo nato a Houston, Dallas o New York. E per la musica è lo stesso. Noi non scimmiottiamo nessuno, questa è la nostra cultura. Diciamo tutti che viviamo in un mondo globalizzato ma poi, quando si tratta di queste cose, siamo sempre pronti a distinguere… è assurdo”. 

Incontriamo Marco all’interno del Circolone di Legnano, storico locale dove i Cheap Wine sono quasi di casa e dove sono arrivati per presentare il nuovo “Based on lies”, il settimo lavoro della loro onorata carriera. “E’ un disco che riassume tutte le sfaccettature di questa band e le atmosfere musicali da lei espresse nel corso degli anni. Si passa dal rock alla psichedelia, alla ballata folk, ecc.” Gli faccio notare che forse, rispetto al suo predecessore, suona un po’ più aggressivo. “E’ senza dubbio vero – risponde – “Spirits” era un lavoro più intimista, anche a livello di suoni, avevamo insistito molto sulle chitarre acustiche. E’ stato un disco importante, che ha fatto fare al gruppo un salto di qualità e che ha influenzato notevolmente anche questo lavoro. Però è vero, “Based on lies” è senza dubbio più carico". 

La ragione, a suo dire, risiederebbe nella particolare natura dei testi: “Questa volta non ci siamo ispirati a visioni letterarie, abbiamo parlato di esperienza autobiografiche, alcune delle quali anche molto sofferte. C’è dunque una carica di dolore, di rabbia ma a mio avviso non di negatività. Alcuni ci hanno detto che questo è un disco pessimista ma non è vero: sono testi che devono servire da stimolo per un riscatto, per un cambiamento, ma non sono pessimisti. Sono crudi, certo, ma proprio perché prendono spunto dalla realtà e la realtà, mi spiace dirlo, è cruda.” 

Gli chiedo di “Give me Tom Waits”, incuriosito dal titolo che chiama in causa uno dei miei artisti preferiti: “Anch’io sono un grande fan di Tom Waits – risponde Marco sorridendo – Quella è senza dubbio la canzone più positiva del disco, un pezzo liberatorio, la celebrazione del fatto che la musica, anche nei momenti più duri, ti può far stare meglio, ti salva. Io stesso sono stato salvato più volte dalla musica. La vita è dura, ci sono tanti problemi ma ci sono anche momenti belli, in cui si vuole avere tutto il meglio che c’è. E allora, dateci Tom Waits perché, in questo campo, è uno dei migliori in assoluto”. 

Anche loro non scherzano, comunque. Una vita passata a macinare chilometri e a mettere a ferro e fuoco i palchi italiani ed europei ha senza dubbio lasciato il segno. Il concerto di questa sera è esplosivo come raramente se ne vedono. Forti di un nuovo disco riuscitissimo e con le spalle coperte da un repertorio ampio e privo di cadute di tono, i Cheap Wine hanno incendiato il Circolone con una noncuranza disarmante, fregandosene delle sedie sistemate in platea dagli organizzatori e dandoci dentro sin dalle prime battute. Alla fine, su brani storici quali “Shakin’ the cage” o “Reckless” saranno in molti ad alzarsi e a cantare, “costringendo” addirittura la band a prolungare il tema principale dei brani, per dar modo ai presenti di sfogarsi a dovere. 

In un panorama musicale sempre più in crisi, dove al di là dei soliti grandi nomi si faticano a trovare act che possano prenderne il posto una volta che questi non ci saranno più, i Cheap Wine sono come un sorso di acqua fresca (o di vino, se preferite). Eppure, nemmeno loro si illudono sullo stato attuale delle cose: “E’ bello che gente come Bob Dylan, Bruce Springsteen e Neil Young, quest’anno abbiano fatto uscire dischi così riusciti. E’ segno che, nonostante gli alti e bassi degli ultimi anni, loro sono sempre e comunque ad un altro livello. Non saprei dirti se ci sono degli artisti che sarebbero degni di poterne prendere il posto. Di sicuro un altro Dylan non nascerà più. Come potrebbe essere possibile? C’è però anche un problema di fondo: negli ultimi vent’anni si è smesso di valorizzare la qualità e l’onestà e si è iniziato ad incensare il grande evento, il grande personaggio, senza realmente preoccuparsi se fosse realmente valido o no. Ha preso il sopravvento il principio dell’usa e getta e questo ha inciso sulla durata delle singole band.” 

E non è solo un problema strettamente musicale: “E’ colpa anche dei media. Non c’è più nessuno che abbia il coraggio di proporre cose nuove, si va tutti dietro ai soliti nomi che qualcuno ha deciso debbano essere di moda e questo influisce anche sulla curiosità della gente. Oggi sono sempre di meno quelli che hanno voglia di andarsi ad ascoltare cose nuove, alla fine vanno tutti a sentire le solite cover band.” 

Difficile dargli torto, ma è anche vero che ci sono ancora gruppi come il loro, gente per cui vale la pena uscire di casa. Colpiscono la padronanza del palco e l’affiatamento che c’è tra i cinque: molti dei pezzi vengono dilatati da assoli e improvvisazioni varie, con la chitarra di Michele Diamatini e la tastiera di Alessio Raffaelli che si ritagliano spazi consistenti senza mai andare a penalizzare l’insieme. Il risultato è una festa rock lunga due ore e mezza, di cui una larga fetta è dedicata ai brani di “Based on lies”, che alla fine verrà eseguito per intero. Dopo la title track, che apre il concerto un po’ in sordina, colpiscono la botta di “Breakaway”, che in sede live aumenta la sua resa all’inverosimile, la dolcezza della pianistica “On the way back home” le lunghe fughe strumentali di “The stone” e di “The vampire” e ovviamente le scariche di adrenalina di “Give me Tom Waits” (qui rimanere seduti è proprio difficile) o “To face a new day”. Un disco che supera brillantemente la prova del palco, dato che tutti i pezzi sembrano già perfettamente rodati. 
Non mancano ovviamente i brani di “Spirits”: le varie “Pig on a lead”, “Leave me a drain” o “The sea is down” fanno sempre la loro porca figura. Finale affidato ad una “Dance over troubles” letteralmente indiavolata e ad una “Freak show” in cui è il coro del pubblico a farla da padrone. Sembra finita, sono già stati fatti i ringraziamenti di rito, qualcuno sta già dirigendosi verso l’uscita, ma i cinque hanno ancora voglia di suonare. 
E allora via con una lunghissima “Evil Ghost”, dove gli assoli di Michele sono forse i più belli della serata e poi, senza un attimo di pausa (come del resto hanno fatto per tutta la sera!), attaccano “Jugglers and Suckers” che, questa volta sì, manda davvero tutti a casa. 

Me lo aveva detto prima del concerto e adesso le parole di Marco suonano più che mai vere: “La situazione live per noi è in assoluto la più importante, quella dove ci troviamo meglio. Sin dai primi tempi amiamo suonare le nostre canzoni e non temiamo di confrontarci con i modelli migliori, con mostri sacri come Dylan, Springsteen, Neil Young. Chi viene a sentire i nostri concerti e compra i nostri dischi, nella maggior parte dei casi ascolta anche questa gente. Sta dunque a noi offrire un prodotto valido e competitivo a chi ci segue.” Detto fatto: i Cheap Wine di questa sera potrebbero tenere testa a chiunque, anche allo Springsteen indiavolato dell’ultimo tour. 

“Le band come noi che amano suonare dal vivo sono sempre di meno – dicono prima di congedarsi dal loro pubblico - e tirare avanti si fa sempre più dura. Se finiremo per smettere tutti, vi toccherà spendere settanta euro per vedervi i concerti negli stadi.” Non che sia male, dipende sempre da chi ci suona, negli stadi. Ma ai Cheap Wine io non rinuncio. E finché ci saranno loro la musica in Italia non sarà mai troppo in crisi. 
[ IL SUSSIDIARIO - Luca Franceschini ]

 

 

STAY ALIVE! tour 18-02-2011: Gallarate - Spazio Carù

Una serata con una delle migliori band italiane, con un pubblico che ha partecipato così numeroso da rendere il clima dello Spazio Carù, letteralmente torrido, con una temperatura finale degna di una infuocata ed umida serata estiva. Non è una novità, almeno per chi scrive, che i Cheap Wine sappiano essere una band ad alto tasso energetico, con set mai scontati e sempre ricchi di piacevoli sorprese. Merito di una ferrea volontà che il gruppo, capitanato da Marco e Michele Diamantini (quest'ultimo chitarrista extraordinaire), capaci di scrivere grandi canzoni intrise di un rock'n'roll travolgente e dilatato, ma anche forte della coesione che traspira dal gruppo che si avvale del drumming efficace di Alan Giannini e del sontuoso basso affidato alle mani esperte ed affidabili di Alessandro Grazioli. Il concerto, poco più di due ore, ha offerto uno spaccato del repertorio della band, pescando, anche a sorpresa rispetto alle attese, brani che non credevamo di ascoltare, come una bella Set Up A Rock'n'Roll Band (tratta da Ruby Shade), non presente nel recente e consigliatissimo Stay Alive!, un doppio album dal vivo, imprescindibile se amate veramente il Rock. La serata si è aperta con la classica opening song Just Like Animals, che funge da intro per l'esplosione che arriva veloce con una Dance Over Troubles che strappa applausi scroscianti. Una riuscita rivisitazione del classico dylaniano Man In The Long Black Coat dimostra l'amore della band per Bob Dylan, sentimento che era stato palesato in occasione della pubblicazione, ahimè limitata, di uno splendido Dvd live intitolato Just Like Bob Dylan's Blues, registrato il 13 settembre 2003 al Teatro Bramante di Urbania, contenente una esibizione dei Cheap Wine nella quale ben sei tracce dello sterminato songbook di Bob venivano rimodellate dai nostri. Lo show è quindi proseguito con eccellenti versioni di Leave Me A Drain, la splendida City Lights, la trascinante Shakin' The Cage, arrivando a chiudere lo show con la classica Move Along. Chiaro che non se ne parli di chiudere così, ed ecco arrivare due devastanti cover younghiane come Rockin' In The Free World ed una favolosa Cortez The Killer, con Michele Diamantini semplicemente fantastico alla chitarra elettrica. Gran bella serata, che avrebbe potuto chiudersi ancora meglio se la band avesse eseguito Evil Ghost, purtroppo non eseguita, che, a mio avviso, rappresenta una delle migliori canzoni della band. Dettagli. Quello che resta sono il fatto che il rock italiano abbia ormai una serie di band che sono dei veri e propri capisaldi. Ed i Cheap Wine si confermano, senza tema di smentita, tra i migliori.
[ BUSCADERO - Marcello Matranga ]

 

SPIRITS tour 05-03-2010: Trieste - Tetris

Ci sono voluti tre anni di tentativi andati a vuoto per i più disparati motivi ma alla fine ci siamo riusciti!
Trieste is Rock non era ancora nata quando lo scorso anno abbiamo contattato i Cheap Wine, la band dei fratelli Diamantini e proposto loro una data a Trieste.
Grazie alla preziosa ed insostituibile collaborazione dei ragazzi del Gruppo Tetris alla fine ce l’abbiamo fatta!
Venerdi 5 marzo i Cheap Wine all’ora di pranzo sono sbarcati in una fredda e soleggiata Piazza Unità; e quale luogo cult più adatto del “Buffet da Pepi” per ospitare e rifocillare i cinque Pesaresi? Aveste dovuto vedere il colore che ha assunto il viso di Michele Diamantini dopo aver incautamente ingurgitato una cucchiaiata di Cren credendolo formaggio grattugiato! Abbiamo rischiato di perderlo! Ma le risate del gruppo sono stata l’occasione per rompere il ghiaccio nel migliore dei modi.
Dopo un sound check accuratissimo, da veri professionisti, ed una cena velocissima alla ”Tecia” il tempio culinario dei rockers triestini, alle 22.15 sul palco del Tetris affollatissimo per l’occasione, sono saliti Marco Diamantini alla chitarrra e voce, Michele ”Roccia” Diamantini alle chitarre, Alessandro “Fruscio” Grazioli al basso ed Alan Giannini alle percussioni.
Ed è iniziata la magia… in versione acustica, tutti rigorosamente seduti hanno presentato il loro ultimo lavoro “Spirits” riuscendo già dalle prime note a creare un atmosfera raccolta ed emozionante che ha coinvolto da subito il pubblico. Spirits è senza dubbio il loro capolavoro, peraltro come unanimemente riconosciuto dalla stampa specializzata, che l’ha definito il miglior disco di rock italiano del 2009. Dopo i precedenti 6 albums tutti rigorosamente ed orgogliosamente autoprodotti in 13 anni di attività, tutti all’insegna del rock elettrico e a tratti psichedelico,con “Spirits” hanno realizzato una manciata di gemme acustiche.
La voce calda di Marco Diamantini con i suoi testi visionari, rigorosamente in inglese, (ma doverosamente presentati per bene uno ad uno) e la slide acustica di Michele Diamantini hanno ricreato al Tetris le atmosfere rarefatte e coinvolgenti dell’album. Brani come “La Buveuse”, ispirato ad una donna, Suzanne Valadon, sconfitta dalla vita e consumata dall’assenzio, musa in gioventù del pittore Henri de Toulouse-Lautrec, o come “A Pig On A Lead” dedicata al partigiano Silvio Corbari hanno “costretto” il pubblico ad applaudirli a scena aperta.
Dopo aver reso omaggio a Dylan con una versione emozionante di “Man In A Long Black Coat” dedicata a Johnny Cash (brano presente sull’album) ed una inaspettata e potente “Youngstown” del Boss la parentesi acustica è terminata con un brindisi a base di ottimo”cheap wine” del Colli. I due fratelli Diamantini hanno imbracciato le chitarre elettriche ed il concerto è decollato con una sequenza di pezzi tratti dai precedenti album “Freak Show” e “Moving” concatenati tra loro in un crescendo sempre più roccioso e coinvolgente.
Il finale è stato travolgente: quando le prime note di “Boston” dei Dream Syndicate (Steve Wynn è un loro estimatore della prima ora) hanno inondato il Tetris, i ragazzi del “Magic Bus” rigorosamente in prima fila hanno dato il meglio di sé trascinando tutto il resto del pubblico a seguirli in una vera e propria festa rock’n’roll. L’ultimo pezzo, la “Rockin’ In The Free World” di Younghiana violenza ha letteralmente fatto tremare le pareti del Tetris; i Cheap Wine avrebbero continuato fino a chissà quando spinti da un pubblico su di giri ma soltanto l’orario sforato da un pezzo li ha indotti a terminare trionfalmente il loro show.
La serata è proseguita del più sfrenato rock’n’roll con i festeggiatissimi Dj Alce e Mauro Valva (irriducibili rockers over 50!!) con i Cheap Wine a ballare e brindare assieme a noi felici e soddisfatti per l’accoglienza entusiasta del pubblico.
Il giorno dopo, prima di partire alla volta di Verona, davanti un tavolo imbandito in un osmizza del nostro Carso ci hanno confessato che il concerto del Tetris l’hanno inserito di diritto tra i loro Top Five Shows della loro carriera!
Ci hanno lasciato con la promessa di ritornare a Trieste quanto prima!
Grazie ai Cheap Wine, ai ragazzi del Tetris ed a tutti quelli che c’erano: Trieste is “really”Rock!!
[ TRIESTE IS ROCK ]

 

FREAK SHOW tour 31-01-2009: Pavia - Spazio Musica

Che lo Spazio Musica di Pavia sia la casa naturale dei Cheap Wine lo si è visto sabato 31 gennaio quando in un locale pieno di fans e amici i quattro pesaresi hanno dato vita ad un concerto memorabile per energia e buone vibrazioni riversando sui presenti un TIR pieno di rock' n'roll. Non è la prima volta che i Cheap Wine incendiano lo Spazio Musica ma questa volta la deflagrazione è stata totale e per tre ore i presenti sono stati tempestati da un rock al calor bianco che ha visto le chitarre, quelle acustiche di Marco Diamantini e quelle elettriche del fratello Michele, andare a spasso con il basso criminale di Alessandro Grazioli e con il drumming di Alan Giannini, il nuovo batterista di ottima tecnica che ha fugato ogni dubbio sulla possibilità di sostituire degnamente Zano Zanotti. C'era attesa per il loro show visto che l'ultimo disco, Freak Show, risale al 2007 e la sostituzione di Zano ha richiesto tempo ed un nuovo entusiasmo dopo un comprensibile periodo critico. Alla luce del concerto visto a Pavia si può affermare che i Cheap Wine sono rinati, suonano ancora meglio di prima ed un nuovo album è all'orizzonte, pare più improntato ad una ricercata complessità acustica.
Il fatto di suonare spesso unplugged nei locali di piccola capienza ha potenziato la dimensione folk-rock dei Cheap Wine e a Pavia la prima parte dello show ha visto i fratelli Diamantini imbracciare le chitarre acustiche per riarrangiare brani come Bad Guy, Easy Joe, per una intensa Among The Stones ispirata da un viaggio che Marco ha fatto nella Valle della Morte e per una sentita rivisitazione di Friend Of The Devil dei Grateful Dead dove è trapelata una poco conosciuta anima blues. Anche le due cover di Dylan Ballad Of A Thin Man e One More Cup Of Coffee (quest'ultima fa parte di un Dvd Just Like Bob Dylan Blues che testimonia una esibizione del gruppo al Teatro Bramante di Urbania nel 2003 durante il 70’s Flowers Festival) non fanno mistero dell’amore che i Cheap Wine ed in particolare Marco nutrono verso la tradizione americana della ballata rock e verso grandi songwriters quali Dylan, Neil Young, Lou Reed e Springsteen.
Proprio con la cover "personalizzata" di Youngstown di Springsteen è partita la parte più elettrica e vibrante dello show, quella che ha mandato in visibilio il caldo pubblico dello Spazio Musica. Pescando dal punkoso e duro Freak Show (Time For Action, Jugglers and Suckers, Exploding Underground) e dai pezzi della loro produzione passata (Move Along, Reckless, Behind The Bars) i Cheap Wine hanno messo in pista la loro artiglieria rock suonando senza tregua un rock urbano tagliente e travolgente, trovando il tempo per perdersi nelle visioni acide e psichedeliche dell'immancabile Mary, rivedendo con una ritmica rinnovata la nervosa Freak Show ed immolandosi sull’altare della ballata metropolitana con la devastante City Lights, brano di punta dell’indimenticabile Moving. Molto più disinvolto che in passato e migliorato nella dizione Marco Diamantini ha svolto il ruolo di leader mentre Michele con la chitarra ha tirato fendenti elettrici capaci di illuminare una intera metropoli.
Alla fine dopo due ore e mezza di concerto, sebbene storditi dalla veemenza del loro show e dalla ovazione del pubblico i Cheap Wine sono tornati sul palco tentando di smorzare i toni con l'evocativa Nothing Left To Say ma non c'è stato verso di calmare le acque perché ormai il pubblico era alle stelle e allora è partita una sequenza al fulmicotone con Coming Breakdown, l'irrinunciabile Boston dei Dream Syndicate, il gruppo che ancora oggi serve ad esempio della loro musica, Castaway e Rockin' In The Free World cantato da tutto il locale.
Torrido clima da Bottom Line il 31 gennaio allo Spazio Musica di Pavia.
[ BUSCADERO - Mauro Zambellini ]

 

FREAK SHOW tour 19-04-2008: Pavia - Spazio Musica
They're back. Si, decisamente sono tornati. Loro, i magnifici quattro, i ragazzi di Pesaro con Rock al posto del sangue nelle vene. E non è un caso che, per presentare la nuova formazione, i Cheap Wine abbiano scelto, dopo una serata marchigiana di collaudo al Fuzz, il celeberrimo palco dello Spaziomusica a Pavia.
Sabato 19 aprile, dopo mesi d'ansia di conoscere il nuovo batterista, Alan Giannini, che ha sostituito Francesco Zanotti (Zano), i Cheap Wine hanno definitivamente rotto il silenzio e impugnato gli strumenti, facendo svanire la nostalgia che aveva afflitto i loro affezionati fans. E certamente non hanno deluso nessuna aspettativa, anzi, il risultato, alla fine di due abbondanti ore di buon sano vecchio rock'n roll, non è che una felice prospettiva per i lavori futuri di cui gli stessi musicisti non nascondono una fervida eccitazione. Aria nuova sembra aggirarsi nel locale: una rinnovata serenità e la conseguente maggiore energia segnano l'intero concerto, ricco di interessanti spunti su cui lavorare.
"Welcome back" potremmo gridare dal palco appena l'intro di Dance Over Troubles esplode con una potenza tale da far balzare dalle sedie anche i più esitanti, per poi trascinarli in un coro all'unisono in Time For Action e all'immancabile accompagnamento di Snakes, pezzo indimenticabile dell'album Moving. Spunti nuovi dicevamo, o comunque occasioni perfette da cui ripartire per una band che ha ormai segnato il panorama del rock italiano e che ora si ripresenta con un batterista maturo, più tecnico e preciso, il quale mostra di che pasta è fatto già alla seconda uscita, nonostante i risicati tempi di prova.
E si capisce subito che i Cheap Wine intendono cogliere questa opportunità al volo presentando una versione integrale di Ballad Of A Thin Man di Bob Dylan per sottolineare ulteriormente che qualcosa sta cambiando. Seguono poi come un vortice le psichedelie di City Lights e Fade Out, intermediate dai dolci suoni acustici di I Like Your Smell, un'ardita denuncia contro la pena di morte, e Murderer Song entrambe incise nell'album Crime Stories, di cui ormai ne sono rimaste poche copie.
Ma si tratta comunque del Freak Show Tour ed ecco che l'ultimo disco torna a sconvolgere la scaletta con i suoi toni duri e dannatamente rock in un'unica successione che vede Exploding Underground, Freak Show e Jugglers And Suckers susseguirsi senza riposo per le chitarre di Marco e Michele Diamantini.
Ed è lo stesso cantante che rimane sorpreso quando, una volta giunti al termine della serata, prima della chiusura in bellezza con una partecipatissima Rockin' In A Free World guidata dai "Wine Heads" che hanno letteralmente invaso il palco, sussurra una tenera Nothing Left To Say facendo salire il cuore in gola ad un pubblico ora più vicino che mai.
Non rimane altro da fare che spellarsi le mani a furia di applausi godendosi fino in fondo una serata che ha finalmente scosso la gabbia di una cittadina forse troppo tranquilla, bere un paio di birre in compagnia e coccolare l'ultimo arrivato che ha già conquistato tutti, guadagnandosi a pieno titolo il suo posto sul palco. Innovazione e tradizione per una volta non sembra uno slogan elettorale, ma una realtà che ancora una volta i Cheap Wine hanno saputo regalarci. Almeno loro.
[ ROOTS HIGHWAY - Alessia Borgarelli ]

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FREAK SHOW tour 05-05-2007:
Lonate Ceppino(Va) - Ponderosa

Se esistessero delle parole per descrivere le belle sensazioni, certo non si rimarrebbe a bocca aperta alla fine di ogni concerto dei Cheap Wine. Sì perché, lungi da ogni retorica e da qualunque tipo di trasporto emotivo nei confronti di quei quattro ragazzi, cinque come amano definirsi, con l'inseparabile Maurizio, non si riescono a trovare definizioni più appropriate nel riassumere oltre due ore di puro rock.
Nessuna parola riesce più trapelare dopo l'intro di Dance Over Troubles e le contorsioni psichedeliche di Haze All Down The Line, che catapultano i presenti, tra cui i fedelissimi Wine Heads, giunti da ogni parte del Nord Italia per assistere all'ultima data primaverile del Freak Show Tour a Lonate Ceppino, in provincia di Varese, in una serata indimenticabile.
Nessuna parola si è più udita con il susseguirsi di pezzi come Kenny Bring Me Down e l'inaspettata, ma forse proprio per questo molto apprezzata, Looking For A Crime, dell'ormai storico album Crime Stories.
Nessuna parola, soltanto grandi applausi e un coinvolgimento sempre maggiore.
Ed ecco che il silenzio iniziale si tramuta presto in una festa per tutti: più alcuna traccia di stupore ma solo cori, incitamenti, ritornelli cantati a squarciagola seguendo l'invito di Marco Diamantini a lasciar perdere le sedie e le inibizioni per alzarsi in piedi e ballare in una vera a propria atmosfera dionisiaca.
Impossibile stare fermi sulle note di Reckless e Naked Kings, troppo difficile non esaltarsi con Move Along o scampare alla mitragliata di chitarre di Among The Stones.
Neanche loro, neanche i fantastici quattro hanno saputo mantenere il controllo acquisendo una familiarità e una confidenza con la serata che ha giovato al sound con una scarica spontanea di energia, tanto da permettersi una versione di Exploding Underground da urlo e una City Lights che toglie il respiro.
Un suono molto più maturo quello di sabato 5 maggio rispetto alle date d'esordio, le quali già promettevano uno spettacolo eccezionale.
Reduce dalla trasferta in Olanda, la band pesarese ha avuto non solo l'occasione di confrontarsi con un pubblico straniero, ma ha ricevuto un arricchimento notevole e, a mio avviso, una maggiore fiducia nelle prestazioni. Ed è stata proprio questa la sorpresa più piacevole della serata.
Non ci dimenticheremo mai quell'interminabile Temptation, che stavolta ha sfiorato i ventidue minuti, o la unanime Time For Action, con i cori di tutta la platea; ma ciò che più terremo a mente sarà sicuramente la destrezza con cui hanno suonato.
Il resto sembra essere venuto da sé: un Michele Diamantini che propone delle jam con la stessa facilità di sempre ma con dei nuovi, interessanti accordi, un Francesco Zanotti e un Alessandro Grazioli che paiono voler distruggere gli amplificatori, e un Marco Diamantini che canta come forse non lo abbiamo mai sentito, tirando fuori una grinta e un'espressività da grande rocker.
Merito certo del grande feeling tra palco e pubblico, scaturito da un continuo feedback di rinforzi positivi. È questo l'ingrediente segreto per la riuscita di una serata perfetta e, ora che ne abbiamo compreso la ricetta, non mancheremo sicuramente a fare in modo di riproporla. Saremo ancora tutti lì insieme, il 14 luglio a Carpiano, un'altra serata tra amici per seguire quella che era una bella promessa ma che ora, con il sesto disco, e con la continua crescita, è una realtà consolidata.
[ ROOTS HIGHWAY - Alessia Borgarelli ]

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FREAK SHOW tour 24-02-2007
: Roncà (Vr) - Jack The Ripper

Cosa è il rock in Italia? Andate a vedere i Cheap Wine per capirlo.
Una band che è rock come nessun'altra nel nostro paese e che si trova purtroppo a suonare lontano da qualunque scena.
Una band che dopo dieci anni di attività si vede ancora relegata sotto la voce emergenti, anche da parte della cosiddetta stampa specializzata.
Una band che ha un suo pubblico, limitato però allo zoccolo dei più appassionati del settore.
Questo è il rock in Italia.
Ma i Cheap Wine sono soprattutto una band impressionante per forza musicale e strumentale.
Hanno un suono ormai loro che dal vivo fa venir voglia di saltare sui tavoli.
Hanno un repertorio e un tiro da paura.
E hanno un approccio ineccepibile, che sul palco mette la musica prima dell'ego.
Questo dovrebbe essere il rock in Italia. Questi sono i Cheap Wine.
Non ci credete? Pensate che queste parole siano dettate da facile entusiasmo, da convinzioni personali o dalla retorica di un appassionato? Provate ad andare a vedere questi "ragazzi" dal vivo allora, e, se avete un minimo di cognizione di cosa sia il rock, rimarrete fulminati.
Al Jack The Ripper di Roncà la band pesarese ha suonato per oltre due ore lasciando nei presenti un'adrenalina che solo ai grandi concerti scorre in modo così elettrizzante.
L'inizio ha subito costretto il sottoscritto ad alzarsi in piedi ai bordi del palco.
I primi tre pezzi sono colpi allo stomaco: in particolare i giri di chitarra di Haze All Down The Line obbligano una piadina a farsi ingoiare con una forza hard di non facile digestione, non certo favorita poi dai tempi blues di Me And The Devil.
Questo per dire quale sia l'impatto di un concerto dei Cheap Wine.
Dopo poche canzoni ci si trova già scossi con un pugno di versioni da brivido: Snakes ha un'acustica secca da far male, mentre Among The Stones inaugura una serie di finali improvvisati a lungo tra la batteria e la slide.
Tanto è eccelso il livello tecnico del gruppo, tanto sono rock le interpretazioni, mai fini a sé stesse.
Serratissimo l'attacco di Coming Breakdown con Marco Diamantini a dare botta con l'armonica ed un canto feroce.
I quattro suonano in modo convinto e partecipe e lo dimostra una Time For Action eseguita all'unisono anche nelle parti vocali. Certe canzoni poi hanno la veemenza dei più grandi pezzi rock: ne sono esempio il drive bruciante di Move Along come le pieghe notturne di City Lights.
Exploding Underground, Freak Show e Jugglers And Suckers sono invece tratte dall'ultima prova in studio e, per come sono suonate, gridano il bisogno imminente di un disco live.
A guardarli in azione i Cheap Wine sembrano inesauribili: basta notare la forza con cui Francesco Zanotti percuote la batteria comandando e variando i tempi manco fosse un John "Bonzo" Bonham. A lui spetta d'introdurre l'ultimo pezzo in scaletta con un assolo che va a far visita ai fantasmi degli anni '70: Tempation è un finale col punto esclamativo, soprattutto quando Marco Diamantini lascia la scena ai tre compagni per un'improvvisazione che si protrae senza mai perdere d'impatto.
Richiamati sul palco, i Cheap Wine buttano fuori ancora quattro pezzi, tra cui una Sweet Jane, acida e puttana, e una Rockin' In The Free World rabbiosa, che conclude con un urlo liberatorio.
Alla fine alle due di notte i Cheap Wine lasciano sfiniti e ancora carichi: troppo per quello che è il rock in Italia.
[ MESCALINA - Christian Verzeletti ]

SET LIST:
Dance over troubles
Haze all down the line
Kenny bring me down
Me and the devil
Snakes
Among the stones
Evil ghost
Naked kings
Coming breakdown
Time for action
Move along
City lights
Exploding underground
Freak show
Jugglers and suckers
Temptation

Shakin' the cage
Sweet Jane
Reckless
Rockin' in the free world

[ MESCALINA - Christian Verzeletti ]

 

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FREAK SHOW tour 10-02-2007:
Pavia - Spazio Musica

Intro Morriconiano, il suono della chitarra di Michele che ci catapulta in qualche garage dei sobborghi newyorkesi, Zano alla batteria e Fruscio al basso che cominciano a pestare duro… quando Marco intona la Dance Over Troubles e ha inizio il Freak Show, si capisce subito che sarà un’altra notte da ricordare, un’altra "notte che come un pugnale si infilza nella tua anima…"
Dopotutto è quello a cui ci hanno abituato i Cheap Wine, ormai dovremmo essere sgamati e consapevoli di quello che ci aspetta… per fortuna non è mai così, ogni nuova occasione di vederli sopra un palco è una nuova occasione per restare stupiti e storditi dalle emozioni che riescono a trasmettere e dall’energia positiva che trabocca dai loro strumenti.
Haze All Down The Line, uno dei pezzi più duri di Moving (2004), ci fa capire ancora di più quale sarà il tiro della serata, chitarre a tutto volume e sezione ritmica precisa e granitica.
L’attacco di Kenny Bring Me Down è un cazzotto sul muso, saltiamo tutti sul treno guidato dal pazzo di turno, e nessuno vorrebbe più scendere, invece non è così, la band decide che è necessaria almeno una fermata nel bel mezzo del delta del Mississippi, per farci ascoltare una versione di Me And The Devil Blues, brano che Mr. Robert Johnson cantava quando ancora non esistevano gli amplificatori e che questa sera Marco canta con lo spirito del diavolo che gli cammina di fianco.
Si riparte con il singhiozzante blues desertico di Snakes, e se il diavolo scappa, stavolta andiamo a cercarlo fino a bussare alla sua porta.
Poi, quasi a volerci ricordare i chilometri di strada percorsi e la polvere respirata, i Cheap Wine estraggono dal cilindro una delle loro ballate più cupe e affascinanti: Among The Stones, tratta dal loro primo album full lenght, A Better Place (1998), con chitarra e percussioni che si rincorrono, il basso che cerca di non farle deragliare, e la voce fredda, quasi “malata” che riesce a farti venire i brividi nonostante la serata si stia infiammando. Evil Ghost, al contrario, è una di quelle canzoni che ti fa venire voglia di correre a perdifiato, per poi respirare a pieni polmoni tutto l’ossigeno del mondo… ma è veramente solo un sogno, perché si riparte immediatamente a tutta velocità con Coming Breakdown (Crime Stories – 2002), in una versione più grezza rispetto al passato, più vicina ai Cheap Wine di oggi, seguita da Time For Action, con il pubblico che sa bene cosa deve fare….Stupefaction!!!!, e da Naked Kings, cavalcata elettrica che ci porta dall’altra parte della città, ma sarà davvero la parte sbagliata??? Poco importa, perché è proprio nella "wrong side of town" che possiamo ascoltare la più bella versione mai sentita di Move Along. Tirata allo spasimo, maltrattata al punto giusto, a mio parere uno degli highlights della serata.
C’è bisogno di tirare il fiato, e quando l’arpeggio acustico introduce City Lights, sembra di approdare all’oasi tanto sospirata… ma solo per qualche istante, perché l’assolo di Michele è un urlo disperato e prepara il terreno per quello che, secondo me, è il culmine del concerto.
Infatti i 4 ragazzi di Pesaro infilano una dopo l’altra il punk di Exploding Underground, una strascicata e rabbiosa Freak Show e Jugglers And Suckers, la canzone più rollingstoniana che abbiano mai inventato, che solo le tastiere del Maestro Castriota potrebbero rendere ancora più memorabile. Tre pezzi in grado di stendere chiunque, ma la fame di rock non è ancora esaurita, c’è ancora tempo prima di rimettersi in macchina, e Zano pensa bene di sfinire le bacchette introducendo una Temptation che alla fine durerà circa 15 minuti, ma non è ancora finita, Shakin’ The Cage è lì a dimostrarci che l’angelo nato ai tempi di Ruby Shade (2000), sta ancora danzando alto nel cielo, Sweet Jane ci ricorda una volta di più che con soli tre accordi puoi fare sognare generazioni di rockettari e Rockin’ In The Free World è il posto dove tutti noi appassionati di musica, amicizia e gioia vorremmo vivere…. esattamente all’opposto del mondo popolato da furbetti e birichini che i Cheap Wine sbeffeggiano nel loro Freak Show.
Ci vediamo al prossimo giro.
[ Paolo Montorfano ]

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